Mentre negli Usa è in sperimentazione un prodotto di terapia genica e ad aprile sarà disponibile il primo farmaco specifico per la malattia, i ricercatori Telethon non stanno a guardare.

Sono mesi di fermento per le famiglie delle persone con la sindrome di Rett e per i ricercatori che la studiano. Sono infatti in arrivo alcune importanti novità sulle prospettive terapeutiche per questa malattia dello sviluppo neurologico, anche se per il momento interessano solo gli Stati Uniti.

La prima buona notizia è arrivata lo scorso gennaio, quando l’azienda americana Neurogene ha annunciato di aver ottenuto dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente che si occupa della regolamentazione dei farmaci negli Stati Uniti, il via libera all’avvio di una sperimentazione clinica di un suo prodotto di terapia genica per la sindrome di Rett.

È il primo studio di terapia genica nelle pazienti con questa malattia, mentre anche una seconda azienda, la canadese Taysha ha dichiarato di aver avviato un percorso di sviluppo clinico di un approccio analogo. Il 10 marzo, invece, l’FDA ha approvato il primo farmaco specifico per la sindrome, basato sul principio attivo trofinetide, un fattore di crescita per le cellule nervose, disponibile negli Usa da aprile.

«In nessuno dei due casi si tratta della “cura definitiva” della malattia, ma senza dubbio siamo di fronte a risultati molto importanti, che apriranno la strada ad altri risultati altrettanto importanti». Parola di Vania Broccoli e Nicoletta Landsberger, due “storici” ricercatori Telethon impegnati nella ricerca sulla sindrome di Rett. Li abbiamo incontrati alla convention scientifica di Fondazione Telethon: un’occasione speciale per chiedere il loro commento su queste novità e sui loro progetti.

Missione terapia genica

La terapia genica per la sindrome di Rett si basa sull’idea di fornire alle cellule delle pazienti una copia funzionante del gene difettoso. In genere è il gene MECP2, localizzato sul cromosoma X e codificante per una proteina che controlla l’attività di altri geni, soprattutto nei neuroni e in altre cellule cerebrali. Se questa proteina manca o è carente, c’è un’alterazione generale dell’attività cerebrale.

Già nel 2007 il gruppo di Adrian Bird, dell’Università di Edimburgo, aveva mostrato che, nel modello animale della malattia, la riattivazione di MECP2 con un “trucco” di ingegneria genetica permette di recuperare sintomi anche molto gravi. «Negli esseri umani, però, questo “trucco” non può essere utilizzato: da qui la necessità di individuare sistemi alternativi per far arrivare alle cellule malate il gene funzionante» spiega Broccoli, che si occupa proprio di strategie innovative di terapia genica per malattie del neurosviluppo.

«La ricerca, compresa la nostra, si è concentrata sull’utilizzo di un virus adeno-associato (AAV) opportunamente modificato come trasportatore del gene terapeutico, a sua volta inserito in un insieme di elementi genetici (il vettore), derivato sempre da un virus AAV».

La sfida è duplice. Primo: fare in modo che, una volta raggiunte le cellule nervose, l’attività del gene terapeutico sia regolata in modo molto accurato, per evitare che sia eccessiva. Anche l’eccesso di MECP2, infatti, provoca danni. Secondo: fare in modo che il virus trasportatore raggiunga il maggior numero possibile di cellule nervose: più cellule vengono corrette, più significativo è il miglioramento dei sintomi.

Da questi punti di vista, la terapia genica di Neurogene (NGN-401) è considerata sufficientemente sicura ed efficace. «Allo stesso tempo, però, non credo possa essere considerata la terapia genica definitiva» precisa il ricercatore. «La comunità scientifica si aspetta che porterà benefici, ma non l’annullamento completo dei sintomi, perché il sistema utilizzato non è ancora ottimale». Ed è inevitabile che sia così: «Quello che arriva in clinica oggi è stato progettato alcuni anni fa: solo tra pochi anni avremo virus trasportatori e vettori ancora più efficienti».

Il vettore sviluppato dal gruppo di Broccoli, per esempio, permette una regolazione particolarmente sofisticata di MECP2 non solo nei neuroni ma anche in altri tipi di cellule nervose, che in condizioni fisiologiche hanno bassi livelli di questa proteina. Un nuovo approccio che ha già suscitato l’interesse di alcune aziende e fondi di investimento, a dimostrazione che continuare a promuovere la ricerca sulla terapia genica per la sindrome di Rett rimane fondamentale. «Più approcci sperimentiamo, prima troveremo quello migliore. E continuare a farlo anche in Europa permette di non lasciare alle aziende americane il controllo completo delle terapie innovative. Altrimenti, dovremo sempre dipendere dalle loro condizioni».

Non solo terapie innovative

Fondamentale, però, è anche continuare a sostenere altri fronti di ricerca. «La terapia genica va sicuramente sviluppata, ma non può essere l’unico approccio possibile» afferma Nicoletta Landsberger, che studia proprio strategie terapeutiche differenti per la sindrome di Rett e altre malattie del neurosviluppo: dalle terapie con cellule staminali ad approcci farmacologici più tradizionali.

«Intanto, perché i tempi di sviluppo delle terapie avanzate come la terapia genica sono lunghi e i pazienti ci chiedono risposte più vicine. Inoltre, perché sono terapie molto costose, che potrebbero non essere disponibili per tutti, per esempio per i paesi a basso reddito. Infine, perché la terapia genica potrebbe non essere indicata per alcuni pazienti, come quelli che non hanno mutazioni del gene MECP2».

Per questo è sicuramente un grande successo l’approvazione – per ora negli Stati Uniti – del trofinetide. Si tratta di un fattore neurotrofico, una sorta di “ricostituente” per neuroni: dalla sperimentazione clinica del farmaco sono emersi alcuni miglioramenti generali, con effetti specifici sui disturbi respiratori e del sonno, per le pazienti che lo hanno assunto. «Anche questo, però, non sarà il farmaco definitivo. La sindrome di Rett coinvolge molti aspetti differenti: probabilmente, la soluzione sarà un mix di farmaci in grado di agire ognuno su un aspetto diverso (cognitivo, motorio, neurologico, respiratorio), da usare magari in combinazione con la terapia genica».

Individuare nuovi farmaci, sviluppando anche sistemi sempre più efficienti e veloci per farlo, è esattamente uno degli obiettivi della ricerca del gruppo di Landsberger. Che sta proprio per pubblicare, a breve, dati incoraggianti su un farmaco che, in modelli preclinici, sembra migliorare alcuni difetti dei neuroni Rett. Come sempre, la ricerca Telethon non si ferma, perché nessuno deve essere lasciato indietro.

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