«Il fegato è un po’ il laboratorio del corpo umano: la maggior parte delle malattie metaboliche, anche quando non colpisce direttamente il fegato, ha sempre qualcosa da spartire con lui». Così Pasquale Piccolo, originario di Marigliano, della provincia di Napoli, spiega l’organo che è al centro degli studi del suo laboratorio, al Tigem di Pozzuoli. Una lunga carriera con già molti successi, che l’ha portato ora a diventare Assistant Investigator e gestire così il suo laboratorio. Una strada cominciata quasi per caso all’Università: «Mi è sempre piaciuta la genetica, ma al momento della scelta della facoltà ero in difficoltà, perché volevo fare tutto. Decisi di provare tra le altre possibilità il test per entrare a Biotecnologie, e lo superai brillantemente: la presi un po’ come un segno che questa a poteva essere la mia strada». Una strada che l’ha portato anche all’estero, al prestigioso Baylor College di Houston Texas: «È lì che ho conosciuto Nicola Brunetti-Pierri, che è stato il mio mentore e con cui sono rientrato in Italia, al Tigem».

Il laboratorio di Pasquale rientra nel programma di ricerca sulla terapia molecolare, ed è in particolare concentrato sullo sviluppo di una terapia genica per la malattia di Wilson, una malattia del metabolismo del rame. «A causa di un difetto in un gene il rame si accumula all’interno delle cellule del fegato e nel cervello, causando danni epatici e disordini neurologici. Normalmente, il gene serve a costruire una sorta di pompa che, quando la concentrazione di rame diventa troppo alta, riesce a eliminarlo dalla cellule: ora il nostro obiettivo è trovare una strategia per sostituire il gene malato».

Una sfida non semplice poiché che il gene mutato, ATP7B, è molto grande, il che impedisce l’utilizzo di tecniche già ben studiate. «Quello che mi piace di più del mio lavoro è che è creativo, mai uguale a sé stesso, che ha bisogno di uno sforzo creativo da parte di chi lo fa. E quindi siamo qui per trovare approcci nuovi, diversi, pensare cose mai pensate prima».

Il Tigem è, specialmente in questo caso, il posto ideale per farlo: «Qui c’è già un forte know-how sulla malattia di Wilson e la sua biologia, oltre che sulla terapia genica, per cui sono qui per puntare a sviluppare una terapia vera e propria».

Ci sono diversi approcci di terapia genica possibile per affrontare le difficoltà specifiche della malattia di Wilson: «Il primo è provare a ingegnerizzare il gene, di modo da creare versioni alternative, più piccole, che possano essere utilizzate con vettori già ben rodati. La seconda è spezzare il gene in due vettori, e fare il modo che all’interno della cellula la proteina si ri-assembli e possa funzionare da pompa. Il terzo approccio, più recente, è quello basato sul genome editing: è stato osservato che anche correggendo solo una piccola parte delle cellule del fegato malate queste si fanno carico del lavoro anche delle cellule vicine. Se riusciamo a infilare il gene corretto nel punto giusto del genoma anche solo in una piccola quota di cellule potrebbe essere sufficiente per svuotare il rame e avere un effetto terapeutico».

Un lavoro che è appena cominciato, ma che potrebbe avere risvolti importanti non solo per la malattia di Wilson: «Il fegato è un bersaglio potenziale per molte malattie metaboliche, perché non è troppo difficile da colpire, e la terapia genica potrebbe essere la strada per trattare molte di loro in futuro». Nel frattempo Pasquale fa anche il papà. «Mio figlio ora ha 6 anni, sto cercando di introdurlo alla Montagna che, anche se sono di Napoli, è una passione. Mia moglie non è molto d’accordo, è molto freddolosa, ma lo sto crescendo bene e presto saremo in maggioranza».

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