Malattie dell’occhio: l’impegno di Fondazione Telethon

Tra ricerca di base, risultati e prospettive: una panoramica sull'impegno di Fondazione Telethon, e in particolare dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, nello studio delle malattie genetiche dell'occhio.

Alberto Auricchio, che dirige un gruppo di ricerca impegnato nello sviluppo di strategie di terapia genica per malattie genetiche dell’occhio
Alberto Auricchio, a capo di un gruppo di ricerca che si occupa di strategie di terapia genica per malattie genetiche dell’occhio al Tigem

Tutto è cominciato alla fine degli anni novanta, con l’identificazione del gene responsabile dell’albinismo oculare per opera del gruppo di ricerca di Andrea Ballabio al Tigem di Pozzuoli. Da quel primo risultato - e dalla ricerca successiva sui meccanismi molecolari della malattia e sulle possibili strategie per superarla - è partito l’interesse di Fondazione Telethon, e in particolare proprio del Tigem, per le malattie genetiche dell’occhio. Malattie degenerative progressive che comportano una riduzione significativa della vista, fino alla perdita completa, e che nel complesso colpiscono una persona ogni 3000: circa 250 mila persone in tutta Europa.

1 su 3000 persone colpite
250.000 persone colpite in Europa
21.000.000 investimento in ricerca Telethon

Tra le più studiate dai ricercatori Telethon ce ne sono quattro: retinite pigmentosa, amaurosi congenita di Leber, sindrome di Stargardt e sindrome di Usher. La retinite pigmentosa è la malattia di Totò Cascio, il bambino protagonista, più di 30 anni fa, del film di Giuseppe Tornatore "Nuovo Cinema Paradiso" e oggi protagonista di un cortometraggio per Fondazione Telethon in cui racconta proprio la sua vita con la malattia.

retina

In vent’anni di ricerca, comunque, sono state oltre 30 le malattie indagate, attraverso un centinaio di progetti finanziati per oltre 21 milioni di euro. Un impegno notevole, giustificato da molte ragioni. «La prima è che si tratta - ma oggi almeno in un caso possiamo dire si trattava - di malattie senza cura, dunque con la forte richiesta di mettere a punto nuove terapie» afferma Alberto Auricchio, coordinatore del programma di ricerca in terapia molecolare del Tigem, a capo di uno dei gruppi che si occupano in modo specifico di malattie ereditarie dell’occhio. Ma c’è anche il fatto che, riguardando la retina, cioè il tessuto nervoso meglio caratterizzato e conosciuto, anche perché è il più semplice da studiare, queste malattie rappresentano un ottimo modello per altre condizioni più o meno affini.

Informazioni preziose 

«Alcuni meccanismi alla base delle malattie oculari ereditarie sono presenti anche in malattie oculari non ereditarie e piuttosto frequenti, come la degenerazione maculare senile o la retinopatia diabetica. E studiare queste condizioni può dare informazioni preziose anche per capire meglio altre forme di degenerazione nervosa non legate agli occhi, per esempio il morbo di Alzheimer» sottolinea Auricchio.

«Studiare queste condizioni può dare informazioni preziose anche per capire meglio altre forme di degenerazione nervosa non legate agli occhi, come il morbo di Alzheimer»

Infine, queste malattie rappresentano una “palestra” perfetta anche per la messa a punto di terapie geniche - altra punta di diamante della ricerca di Fondazione Telethon - perché permettono di intervenire in condizioni relativamente semplici, cioè su un organo di piccole dimensioni, “raccolto” e meno soggetto di altri al rischio di reazioni immunitarie, nel quale la possibilità di effetti tossici è ridotta al minimo.

Arrivano i risultati

Tanto interesse ha già dato ottimi frutti: ai ricercatori del Tigem va infatti il merito di aver contribuito alla messa a punto di Luxturna, la prima terapia genica mai approvata per una malattia oculare, l’amaurosi congenita di Leber, disponibile negli Stati Uniti da fine 2017 e dal 2018 anche in Europa. Ed è di poche settimane fa (ottobre 2021) che alla Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, già dieci bambini sono stati trattati con successo con questa terapia.

Dopo il successo con l’amaurosi congenita di Leber, l’attenzione al Tigem si è spostata sulle sindromi di Stargardt e di Usher, malattie entrambe caratterizzate dal coinvolgimento di un gene di grandi dimensioni. «In questi casi la terapia genica classica non funziona in modo efficace» afferma il ricercatore. «Per questo abbiamo sviluppato un sistema differente, che prevede di spezzare in due parti il gene corretto da trasferire, caricandone ciascuna in un vettore differente. Solo giunte a destinazione nella retina le due parti si ricongiungono per dare un gene funzionante». A questo nuovo approccio tecnologico è dedicato la start-up biotecnologica AAVantgarde Bio, co-fondata dallo stesso Auricchio e finanziata dal Fondo Sofinnova-Telethon.

Strategie replicabili

A breve dovrebbe partire una sperimentazione clinica di questo nuovo approccio per la sindrome di Usher, una condizione nella quale il disturbo visivo è associato a sordità. Ma una strategia di questo tipo potrebbe essere utile anche per altre malattie rare causate da alterazioni di geni di grandi dimensioni, come la distrofia di Duchenne, l’emofilia, la fibrosi cistica. Sono indubbiamente risultati importanti, resi possibili da alcuni fattori fondamentali: «Il rigore con il quale vengono selezionati i progetti scientifici da finanziare, la disponibilità di una massa critica sufficiente, in termini di gruppi di ricerca, per sviluppare progetti che partono dal laboratorio per arrivare ai pazienti, e la stretta collaborazione con realtà cliniche» spiega Alberto Auricchio.

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