Identificato nell’ambito del programma “Malattie senza diagnosi”, il nuovo disturbo è causato da mutazioni di un gene coinvolto nella regolazione di componenti fondamentali per le membrane cellulari.

Manuela Morleo, ricercatrice Tigem
Manuela Morleo, ricercatrice Tigem

“Un grandissimo lavoro di squadra a livello sia nazionale sia internazionale”.

Manuela Morleo, ricercatrice dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli e dell’Università della Campania “Vanvitelli”, descrive così l’elemento essenziale che ha portato alla recente identificazione di un nuovo disturbo del neurosviluppo. La notizia della scoperta, avvenuta nell’ambito del programma “Malattie senza diagnosi” coordinato al Tigem dal prof. Vincenzo Nigro, è stata data dalle pagine dell’American Journal of Human Genetics.

Un nuovo caso per il programma "Malattie senza diagnosi"

Era il 2019 quando i genetisti del Policlinico Gemelli di Roma hanno inviato all’attenzione del programma il caso di una bimba di sette anni con un quadro clinico complesso, caratterizzato da microcefalia, disabilità intellettiva, ritardo dello sviluppo, assenza del linguaggio, epilessia, anomalie degli occhi e particolari tratti del viso. “Tutto questo suggeriva una causa genetica attribuibile alla mutazione di un singolo gene, ma le indagini fatte fino a quel momento non erano riuscite a identificarla”, racconta Morleo. È a questo punto che è entrato in campo il programma “Malattie senza diagnosi” che, in Italia, ha proprio l’obiettivo di identificare la causa – cioè la diagnosi – di malattie estremamente rare e praticamente sconosciute, al punto da rimanere per anni non diagnosticate. Al programma afferiscono 20 centri clinici, tra i quali appunto il Policlinico Gemelli. I ricercatori del programma hanno effettuato il sequenziamento di nuova generazione del genoma della piccola paziente, in particolare di tutte le porzioni che codificano per proteine (esoma), alla ricerca dell’anomalia che potesse giustificare il suo quadro clinico.

In effetti un’anomalia c’era: una mutazione a carico di un gene chiamato PIP5K1C, mai precedentemente associato a malattia. Il gene codifica per un enzima che ha il compito di regolare, attraverso specifiche modificazioni chimiche, l’attività di un gruppo di lipidi (grassi) che controllano la composizione della membrana cellulare e di quella di diversi organelli cellulari. “Attenzione, però: trovare una mutazione in un gene in un solo paziente non basta per stabilire un rapporto causa-effetto tra la mutazione e le manifestazioni cliniche osservate” spiega Morleo.

Un grande lavoro di squadra

Il passo successivo è trovare la stessa o altre mutazioni nello stesso gene in altri pazienti con quadro clinico simile. “Per farlo – prosegue la ricercatrice – ci rivolgiamo a banche dati nazionali ed internazionali, nelle quali vengono segnalate caratteristiche cliniche non comuni di pazienti, insieme a eventuali varianti genetiche individuate nel loro genoma”. In questo modo, sono stati identificati altri 8 pazienti, alcuni italiani, altri da Stati Uniti, Canada, Europa e Pakistan, con le stesse manifestazioni cliniche della bimba segnalata dal Policlinico Gemelli, tutti con mutazioni nel gene PIP5K1C. All’individuazione dei pazienti hanno collaborato anche ricercatori statunitensi dell’Undiagnosed Diseases Program dei National Institutes oh Health. 

“A questo punto l’ipotesi sul coinvolgimento del gene PIP5K1C si era ulteriormente rafforzata” racconta Morleo, “ma mancava ancora una prova fondamentale: la validazione del meccanismo biologico che potrebbe collegare l’alterazione del gene alla malattia”. Una validazione nella quale la competenza multidisciplinare del Tigem si è rivelata fondamentale. “Grazie alla collaborazione con le colleghe Rossella Venditti e Brunella Franco, abbiamo scoperto che nelle cellule dei pazienti la mutazione del gene PIP5K1C porta all’accumulo dei lipidi in vescicole (endosomi) che servono per il trasporto delle molecole all’interno delle cellule e per il loro riciclo. La conseguenza dell’accumulo è un peggioramento della capacità di riciclo a livello degli endosomi, che si associa a un alterato funzionamento dei neuroni ed è già stato descritto per alcuni disturbi del neurosviluppo”. Infine, un collaboratore in Francia è riuscito a generare un modello preclinico con caratteristiche che ricordano le manifestazioni cliniche osservate nei pazienti.

“Così abbiamo confermato la nostra ipotesi di trovarci di fronte a una nuova malattia genetica”.

Manuela Morleo, ricercatrice Tigem

I numeri del programma

Non è la prima volta che succede. “Nell’ambito del programma ‘Malattie senza diagnosi’ abbiamo identificato circa una ventina di geni considerati forti candidati nell’essere associati a malattia, mai descritti in precedenza e la cui validazione sperimentale è conclusa o è ancora in corso, sempre in collaborazione con altri gruppi di ricerca in Italia e all’estero”.

50% tasso di successo
411 casi diagnosticati
830 casi analizzati

Più in generale, il programma ha reso possibile la diagnosi per 411 casi degli 830 analizzati finora, con un tasso di successo prossimo al 50%, più alto di quelli ottenuti da programma analoghi negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. “Un successo – conclude Morleo – reso possibile grazie al lavoro sinergico di un intero gruppo di ricercatori, ognuno con ruoli e competenze differenti, dai medici ai genetisti, dai bioinformatici ai biologi cellulari, dai tecnici ai ricercatori che interpretano la sequenza del DNA e altro ancora”.

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