Oggi esiste, concreta, una speranza in più per chi ha la talassemia, una malattia genetica rara del sangue, oggetto di una sperimentazione clinica all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano (SR-Tiget). Non esistono ancora dati ufficiali ma i primi risultati sui pazienti trattati a oggi sono molto confortanti e, se questi dovessero confermarsi, si avrebbe una concreta arma in più (insieme al trapianto di midollo) contro una delle più note malattie genetiche rare. Tra le più note perché potremmo definire la talassemia “rara ma non troppo”, soprattutto in alcune zone del mondo, come la Sardegna.

A differenza di gran parte delle malattie genetiche, infatti, la talassemia non ha una distribuzione uniforme nel mondo. A suggerirlo è anche l’origine greca del nome, dove il mare (thalassa) è quello per eccellenza, il Mediterraneo: nel linguaggio comune, infatti, questa malattia è nota anche come anemia mediterranea, a indicare come sia storicamente più diffusa nel bacino del mare nostrum.

Effettivamente, la denominazione storica della malattia riflette un fenomeno reale: nelle zone dove è (o era) endemica la malaria, essere portatore sano di talassemia rappresenta infatti un vantaggio, in quanto la particolare forma assunta dai globuli rossi ostacola la riproduzione del plasmodio, l’agente infettivo responsabile.
Va ricordato, infatti, che la talassemia è una malattia a eredità recessiva, dove occorre cioè ereditare il difetto genetico da entrambi i genitori per essere affetti: i portatori sani, pur non manifestandone i sintomi, hanno metà dei loro globuli rossi anomali, tali da “tenere a bada” il plasmodio.

Alla geografia sono indiscutibilmente legate anche le opportunità terapeutiche e, di conseguenza, l’aspettativa di vita. Se nel mondo occidentale un paziente talassemico ha accesso al trapianto di midollo e, laddove non praticabile, al regime terapeutico a base di trasfusioni e ferrochelanti, nei Paesi in via di sviluppo il quadro è drammaticamente diverso.
In Paesi dove la malattia, per ragioni storiche e culturali, è particolarmente diffusa (Nord Africa, Medio Oriente, India, Sudest asiatico) ma dove le risorse economiche e sanitarie sono carenti l’aspettativa di vita spesso è inferiore ai 10-20 anni. In questi Paesi i pazienti affetti da beta talassemia spesso non raggiungono l’età adulta, a meno che non riescano a ricevere un trapianto: anche in questo caso, però, la situazione non è rosea, perché a volte non esiste un registro dei donatori o vi sono pochi donatori iscritti e le strutture in grado di eseguire l’intervento sono poche. In questo senso, il mondo è di fatto diviso in due.

Per quanto complesso, però, essendo un intervento una tantum il trapianto è comunque più praticabile di un trattamento cronico ben strutturato a base di trasfusioni e farmaci ferrochelanti: per questo anche la terapia genica, paradossalmente, potrebbe in futuro rappresentare un’opportunità più accessibile nei Paesi in via di sviluppo, facendo davvero la differenza tra la vita e la morte.

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