Sindrome di Marfan, un attacco al “cuore” del problema

Una speranza concreta per le persone che soffrono di sindrome di Marfan, malattia genetica che colpisce l’impalcatura del nostro organismo: prende il via infatti, presso il Policlinico San Matteo di Pavia, uno studio clinico che valuterà l’efficacia di una nuova combinazione di farmaci nella prevenzione di quello che è il rischio principale per questi pazienti, la rottura dell’aorta. I dettagli del trial, ufficialmente registrato presso i National Institutes of Health (Nih, ClinicalTRials.Gov) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), sono in corso di pubblicazione sul Journal of Cardiovascular Medicine*.

Lo studio, finanziato in parte da Telethon e coordinato da Eloisa Arbustini del Centro Malattie Genetiche Cardiovascolari dell’ospedale pavese, coinvolgerà 291 pazienti e durerà quattro anni. I farmaci utilizzati sono stati concessi gratuitamente da Menarini Ricerche SpA e Merck Sharp and Dohme Italia SpA.
 
La sindrome di Marfan è una malattia dai numerosi sintomi, tra cui alterazioni dell'apparato muscolo-scheletrico e problemi alla vista. Il pericolo vero, però, è rappresentato dalla progressiva dilatazione dell’aorta (aneurisma), che in mancanza di intervento può degenerare anche nella rottura di questo importantissimo vaso sanguigno. Prevenire questa complicanza significa di fatto assicurare una vita sostanzialmente normale alle persone affette, pur non correggendo il difetto genetico. Per questo, da diversi anni i pazienti vengono trattati con una terapia farmacologica a base di beta-bloccanti, farmaci in grado di ridurre la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca e quindi, indirettamente, il lavoro dell’aorta.
 
La novità dello studio coordinato da Eloisa Arbustini sta nella sperimentazione dell’efficacia di una nuova combinazione di farmaci, che agirebbero in due diverse direzioni. Il primo è il losartan, un antipertensivo appartenente alla classe dei sartani, che in laboratorio si è dimostrato in grado di prevenire la dilatazione e il danno strutturale a carico dell’aorta grazie a un meccanismo molecolare molto specifico. Il secondo è il nebivololo, un farmaco beta-bloccante più recente rispetto all’atenololo: non solo riduce la pressione sanguigna, ma favorisce anche l’elasticità della parete aortica. Entrambi i farmaci sono già in commercio da molti anni e sono quindi ritenuti sicuri quanto a effetti collaterali.

I pazienti saranno quindi divisi in maniera casuale in tre gruppi: uno riceverà solo il losartan, un altro soltanto il nebivololo e l’ultimo entrambi i farmaci. Ai ricercatori spetterà invece il compito di valutare gli effetti di ciascun trattamento sulla progressione della dilatazione aortica. La valutazione sarà effettuata a distanza di 2 e 4 anni dall’inizio della sperimentazione. Tra gli obiettivi c’è anche quello di individuare eventuali fattori che possano influire sulla risposta individuale ai diversi farmaci, in modo da poter “personalizzare” sempre di più la terapia in futuro.
 Un altro punto di forza di questo studio è il fatto che vi partecipano soltanto pazienti con diagnosi genetica della sindrome di Marfan, in cui sia stata cioè riscontrata la presenza di una mutazione a carico del gene della Fibrillina 1 e non soltanto i segni clinici caratteristici della patologia. Questo assicurerà una maggiore accuratezza dei risultati, azzerando il rischio di includere nello studio pazienti con malattie “Marfan-simili” che potrebbero falsare i risultati osservati. Questo studio potrà quindi dare un contributo importante alla terapia farmacologica della sindrome di Marfan, ma anche alle conoscenze sui suoi meccanismi patogenetici.
 
* Fabiana I. Gambarin et al, “Rationale and design of a trial evaluating the effects of Losartan vs. Nebivolol vs. the association of both on the progression of aortic root dilation in Marfan Syndrome (MFS) with FBN1 gene mutations”. Journal of Cardiovascular Medicine, 2009.
 

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