In occasione della Giornata mondiale della sindrome, il 22 novembre, approfondiamo il progetto del ricercatore Francesco Papaleo sui possibili effetti di un trattamento con ossitocina.  

C’è l’ossitocina, una piccola proteina spesso presentata sui media come l’ormone dell’amore o dei legami sociali perché effettivamente coinvolta in comportamenti di relazione e pro-sociali, al centro del progetto di ricerca di Francesco Papaleo sulla sindrome di DiGeorge (di cui il 22 novembre si celebra la giornata mondiale) finanziato da Fondazione Telethon per il periodo 2020-2024. Nell’ambito di questo progetto Papaleo, che dirige il gruppo di ricerca “Genetica dei processi cognitivi” dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, intende lavorare sull’ossitocina come possibile trattamento in grado di intervenire sugli aspetti immunitari e psichiatrici della sindrome.

L’obiettivo potrebbe apparire insolito, ma un piccolo passo indietro aiuta a contestualizzarlo. «Negli ultimi anni i risultati di un numero crescente di studi scientifici hanno suggerito la possibilità di un collegamento tra malattie psichiatriche e alterazioni del sistema immunitario» spiega il ricercatore. «Per esempio, è emerso che alcuni geni potenzialmente implicati nella schizofrenia o nei disturbi dello spettro autistico svolgono un ruolo immunitario e che persone con queste condizioni possono essere più vulnerabili a insulti del sistema immunitario». Altri studi hanno mostrato che, a differenza di quanto finora creduto, molecole immunitarie come le citochine possono attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il cervello, innescando processi immunitari e infiammatori, e che certi tipi di cellule cerebrali come la microglia e gli astrociti sono a loro volta coinvolti nella risposta immunitaria.

«Quello che ancora non è ben chiaro - prosegue Papaleo - è quali siano i rapporti di causa-effetto tra alterazioni del sistema immunitario e manifestazioni psichiatriche, e in che modo e quando queste alterazioni interferiscano con lo sviluppo e il funzionamento del cervello». Ed è proprio rispetto a questo tema generale che possono rivelarsi preziose nuove conoscenze sulla sindrome di DiGeorge (che ovviamente saranno fondamentali anche per aprire a nuove prospettive terapeutiche per la sindrome stessa). Questa condizione, causata dalla perdita di una piccola porzione del braccio lungo del cromosoma 22 (a proposito: oggi si preferisce parlare più in generale di sindrome da delezione 22q11.2), rappresenta infatti un “modello” speciale per lo studio delle interazioni tra sistema immunitario e manifestazioni comportamentali e psichiatriche.

Papaleo racconta che fin dalle prime descrizioni della sindrome si sapeva che i pazienti colpiti mostrano un’involuzione del timo, la ghiandola dove avviene la maturazione di un tipo di cellule immunitarie chiamate linfociti T, con alterazioni dei livelli di queste cellule e maggiore predisposizione a sviluppare malattie autoimmuni. «Questi aspetti però sono stati un po’ ignorati in ambito di ricerca, dando più rilevanza a quelli psichiatrici della malattia. Ricordiamo che circa il 40% dei pazienti può andare incontro nella vita a una diagnosi di schizofrenia e che la sindrome da delezione di 22q11.2 costituisce una delle cause genetiche più note di vulnerabilità alla schizofrenia». Alla luce dei nuovi dati sulle possibili interazioni tra immunità e funzioni cognitive e sociali è dunque inevitabile che, come nel caso di Papaleo, si riaccenda l’interesse su questi aspetti anche in questa sindrome.

In particolare, il ricercatore ha puntato la propria attenzione sull’ormone ossitocina. «Da un lato, infatti, ci sono risultati clinici promettenti ma non definitivi che suggeriscono un suo effetto positivo sulle alterazioni della sfera sociale nelle malattie psichiatriche. Dall’altro, noi stessi abbiamo ottenuto in un modello animale dati preliminari in base ai quali l’ossitocina sembrerebbe avere effetti modulatori sul sistema immunitario». Sempre lavorando con un modello animale della sindrome, il gruppo guidato da Papaleo cercherà quindi di capire se la somministrazione di ossitocina possa avere impatto positivo sia nelle alterazioni delle funzioni cognitive e sociali sia in quelle del sistema immunitario. È il primo passo per conoscere meglio questa malattia genetica, tentare di sviluppare una terapia specifica e allargare poi le conoscenze acquisite ad altre malattie con manifestazioni analoghe.

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