Senescenza cellulare: dall’invecchiamento alla terapia genica?

Il meccanismo di senescenza cellulare, che impedisce alle cellule di replicarsi e proliferare, è fondamentale per difenderci dai tumori, ma è implicato nelle malattie dell’invecchiamento e potrebbe rendere meno efficaci i protocolli di terapia genica.

Ogni giorno nel corpo di una persona adulta miliardi di cellule finiscono il loro ciclo di vita, ma per fortuna queste cellule morte vengono prontamente sostituite: a garantire questa continua ed efficiente rigenerazione dei tessuti sono le cellule staminali, che si dividono e differenziamo per produrre nuove cellule. Non si tratta però di una sorgente infinita: già nei primi anni Sessanta gli scienziati hanno descritto come queste cellule, dopo essersi divise un certo numero di volte, smettono di duplicarsi ed entrano in uno stato di cosiddetta “senescenza”. Nel corso della vita le cellule senescenti si accumulano nei tessuti e giocano un ruolo chiave sia nell’invecchiamento fisiologico dell’organismo, sia nelle malattie legate all’avanzare dell’età. Tuttavia, lo stato di senescenza cellulare può essere attivato indipendentemente dall’età se la cellula si trova in situazioni di stress particolari, compresa la correzione in laboratorio che si effettua per esempio quando si applica la terapia genica.

All’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano, Raffaella Di Micco studia i meccanismi alla base di questo fenomeno: capire cosa lo scatena è fondamentale non solo per trovare strategie contro le malattie dell’invecchiamento, ma anche per migliorare un approccio innovativo che negli ultimi anni ha dimostrato di poter cambiare la storia naturale di diverse malattie genetiche (ma non solo) e che ha visto l’istituto SR-Tiget giocare un ruolo di primo piano.

L’azione protettiva della senescenza cellulare

Nonostante la senescenza cellulare svolga con ogni probabilità un ruolo chiave nell’invecchiamento e sia implicata in molte malattie dell’età avanzata, il meccanismo ha in realtà una funzione fisiologica fondamentale. Come spiega Di Micco, «in condizioni di stress o anomalie funzionali quali l’attivazione di geni tumorali o la presenza di danni al Dna, le nostre cellule entrano in uno stato di senescenza: questo ha una funzione protettiva nei confronti dell’organismo, perché interrompendo la duplicazione si impedisce la proliferazione di cellule potenzialmente pericolose. Non solo, ma le cellule senescenti inviano una serie di segnali infiammatori che richiamano il sistema immunitario e facilitano la loro eliminazione».

In un recente studio su "Nature Communications", Di Micco ha mostrato in collaborazione con Eugenio Montini questo comportamento protettivo in un modello animale, in cui è bastata l’attivazione di un oncogene tumorale (BRAF-V600E) nelle cellule del sistema immunitario per arrestarne la replicazione e avviare il programma di senescenza. Ma se lo scopo della senescenza cellulare è difenderci dai tumori, perché finisce per contribuire all’invecchiamento dell’organismo, creando il contesto per l’emergere di malattie infiammatorie e tumorali tipiche dell’età avanzata? «Non abbiamo ancora una risposta esaustiva a questa domanda, ma non si tratta di una novità: meccanismi cellulari protettivi nel breve periodo – selezionati dall’evoluzione per mantenerci in salute durante la fase riproduttiva – possono diventare disfunzionali a lungo termine» spiega Di Micco. «Con l’invecchiamento si assiste a un progressivo accumulo nei tessuti di cellule senescenti che non vengono più eliminate con efficienza. Di conseguenza, i tessuti non riescono più a rigenerarsi ed entrano in uno stato di infiammazione cronica a cui le cellule senescenti contribuiscono attivamente».

I segnali infiammatori delle cellule senescenti

Le cellule in stato di senescenza non si limitano infatti a bloccare i loro processi duplicativi, ma iniziano a produrre una serie di segnali chimici specifici, per lo più di tipo infiammatorio. Questi segnali di allarme servono anche per richiamare il sistema immunitario e portare alla loro eliminazione, ma se fuori controllo possono produrre situazioni patologiche, di cui l’invecchiamento è un esempio. Nello studio, Di Micco e collaboratori hanno dimostrato che i segnali infiammatori rilasciati dalle cellule senescenti che contengono l’oncogene sono in grado di indurre comportamenti senescenti anche nelle cellule sane vicine, sebbene queste non contenessero l’oncogene. La capacità di influenzare altre cellule verso comportamenti senescenti e quindi infiammatori può essere molto pericoloso.

«Questi risultati potrebbero spiegare quello che si osserva in alcune condizioni patologiche come l’istiocitosi, una rara malattia tumorale-infiammatoria caratterizzata dalla presenza dello stesso oncogene usato nei nostri esperimenti» spiega Di Micco, proprio nel mese dedicato alla sensibilizzazione dedicato all’istiocitosi. «Anche in questo caso si verifica una sorta di “contagio comportamentale”: nelle lesioni prodotte dalla malattia, le cellule mutate sono praticamente indistinguibili da quelle non mutate».

La senescenza cellulare nella terapia genica

Il fatto che, se sottoposte a stress, le cellule possano diventare senescenti e produrre segnali in grado di influenzare in senso patologico il comportamento di cellule sane vicine è particolarmente rilevante per chi, come i medici e gli scienziati di SR-Tiget, si occupa di terapia genica. Modificare il patrimonio genetico delle cellule staminali del sangue si è rivelata una strategia vincente per gravi malattie genetiche quali per esempio l’Ada-Scid, la leucodistrofia metacromatica o la sindrome di Wiskott-Aldrich, ma al contempo gli scienziati hanno constatato che questo rappresenta anche uno stress per le cellule.

«Questo approccio terapeutico prevede la manipolazione delle cellule malate del paziente attraverso l’uso di vettori virali, che inseriscono al loro interno una copia del gene terapeutico» spiega Eugenio Montini, che all’SR-Tiget è responsabile dell’unità di sicurezza del trasferimento genico e studia proprio come rendere la terapia genica sempre più mirata e sicura. «Questa correzione è fondamentale per ristabilire il corretto funzionamento delle cellule, ma allo stesso tempo le sottopone a uno stress notevole, perché interviene nella parte più delicata e protetta della cellula, il suo materiale genetico. La buona notizia è che i nostri risultati mostrano che l’effetto nocivo delle cellule senescenti nel nostro modello può essere significativamente ridotto con molecole in grado di contrastare l’attività pro-infiammatoria del fattore di necrosi tumorale alfa».

L’ipotesi di Di Micco è che i meccanismi di senescenza prodotti dalla manipolazione delle cellule possano renderle meno capaci di proliferare, riducendo così l’efficacia terapeutica dell’intervento, che dipende proprio dalla capacità delle cellule reinfuse nel paziente di ripopolare il midollo osseo e il tessuto sanguigno. Ecco perché comprendere meglio la senescenza cellulare e le molecole in grado di contrastarne gli effetti potrebbero aiutarci a migliorare i protocolli di terapia genica: per farlo, la ricercatrice ha ottenuto lo scorso anno due importanti finanziamenti, dall’European Research Council e dalla New York Stem cell Foundation.

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