Gli avanzamenti della ricerca scientifica stanno permettendo a sempre più donne con malattie genetiche rare di diventare mamme. Le storie di due mamme come Laura e Marinella, con due malattie neuromuscolari, sono un esempio, ma succede anche a donne con fibrosi cistica, talassemia o altre malattie.

La storia di Laura

«Grazie alla ricerca ho saputo il nome della mia malattia e da quel momento potevo finalmente sapere contro cosa combattere e che non l’avrei trasmessa ai miei figli». La ricerca dona diagnosi, risposte. E queste risposte portano con sé progetti di vita, come nel caso di Laura, che ha una malattia neuromuscolare, la Charcot-Marie-Tooth.

Fino all’età di 24 anni, però, Laura non sapeva, non poteva dare un nome alla sua malattia. I molti medici che l’avevano seguita nel corso della sua vita non erano stati capaci di formulare una diagnosi. Poi all’Istituto Neurologico Besta di Milano, incontra Davide Pareyson, direttore del dipartimento di malattie neurologiche e ricercatore Telethon che le dà la diagnosi e non solo: viene identificato il gene responsabile, tra gli 80 che possono essere associati a questa patologia.

Il nome della malattia ha significato poter scoprire che il gene era recessivo, che il marito Salvatore non ne era portatore aprendo uno spiraglio di luce sulla possibilità di poter creare una famiglia, di poter avere un bambino a cui non si trasmette la malattia.

«È stato come ricevere una terapia, una rinascita: non solo potevo finalmente sapere contro cosa combattere e cosa aspettarmi, ma soprattutto avevo ricevuto la conferma che non avrei trasmesso la malattia ai miei figli».

Laura

E così nel 2018 nasce Ferdinando, che oggi, nel 2021 è in attesa di un fratellino.

La storia di Marinella

«I momenti più difficili? Quelli in cui mio figlio appena nato piangeva disperato per le coliche e io non potevo cullarlo con le mie braccia per aiutarlo a calmarsi, ma dovevo delegare questo gesto così intimo a mia madre o alla persona che mi assisteva».

«Quando una donna con la SMA, come sono io, decide di avere un figlio, sa già ancora prima che nasca che ci saranno difficoltà e limiti: che non potrà prenderlo in braccio per cullarlo, allungarsi per evitargli una caduta o aiutarlo a rialzarsi.

Marinella, paziente SMA e mamma

«Si tratta di decidere in partenza se rinunciare alla maternità o pensare che ci potranno essere altri modi per entrare in relazione con il proprio bambino, creando un rapporto comunque meraviglioso». Marinella, che oggi ha 40 anni e ha ricevuto da bambina la diagnosi di atrofia muscolare spinale (SMA) di tipo 3 (una malattia neuromuscolare degenerativa), la sua scelta l’ha fatta due volte, diventando mamma di Flavio (sei anni) e Martina (tre anni).

Marinella, ospite della maratona tv nel 2015

Il “suo” modo per essere mamma, Marinella l’ha trovato in una presenza continua fatta di sguardo e di voce.

«Non potevo cambiare pannolini, fare bagnetti, cullare o medicare sbucciature, ma in ognuno di questi momenti io c’ero, con la mia voce, il mio sguardo, la mia tensione a captare le esigenze dei bambini, dirigendo gli altri affinché rispondessero come desideravo io. È stato un lavoro lungo e capillare, che ha richiesto la creazione di un giusto equilibrio con le assistenti, due persone eccezionali che mi aiutano a turno ogni giorno senza tuttavia prendere il mio posto, e che infine ha dato i suoi frutti. Oggi posso accompagnare da sola i miei bimbi a scuola o all’asilo e stare da sola con loro per qualche ora anche se non ci sono il papà o le assistenti. Ci intendiamo a meraviglia».

Non c’è risentimento nelle parole di Marinella, anche se ammette che (come a tutti!) capitano le giornate storte, in cui i limiti pesano più del solito. “Ho deciso tanto tempo fa, dopo un’adolescenza piena di sofferenza, che la malattia non mi avrebbe impedito di fare quello che desideravo, a costo di scavallare le barriere che spesso sono imposte dalla società e dai familiari, magari per paura. Questo ha anche significato imparare a reagire in maniera positiva di fronte ai limiti. Così quando con mio marito abbiamo sentito il desiderio di allargare la famiglia, ho accettato il fatto che avrei dovuto convivere con dei compromessi. D’altra parte, se mi fossi abbattuta o infuriata ogni volta che non potevo fisicamente fare qualcosa avrei rischiato di passare la vita chiusa in casa da sola e mi sarei persa un sacco di cose belle».

Diventare mamme con una malattia neuromuscolare

La storia di Marinella è la storia di una tenacia profonda, di un temperamento solare e determinato, di un desiderio che si avvera, ma è anche la rappresentazione concreta delle conquiste della ricerca scientifica. «È innegabile: negli ultimi vent’anni i risultati della ricerca hanno permesso di migliorare molto la gestione della SMA e di altre malattie neuromuscolari e di conseguenza la qualità della vita dei pazienti. Questo ha portato ragazze e giovani donne alla percezione di poter raggiungere obiettivi impensabili fino a pochi anni fa, come la gravidanza e la maternità».

Marika Pane, Centro clinico Nemo pediatrico di Roma

Parola di Marika Pane, neuropsichiatra infantile del Policlinico Gemelli di Roma, dove dirige il Centro Clinico Nemo pediatrico. «Certo, quando ne parlo con le mie pazienti adolescenti c’è ancora incredulità. Mi chiedono per esempio come può crescere una pancia con dentro un bimbo se devono stare sempre sedute (io rispondo che cresce comunque!), e alcune temono che non troveranno un compagno che accetti di fare un figlio con una donna in carrozzina. Ma anche su questo fronte la sensibilità sta cambiando: ci sono una conoscenza e un’accettazione maggiori della disabilità, che aiutano le ragazze stesse ad avere più fiducia».

E se Marinella, suo marito e i suoi bimbi mostrano già che diventare mamme con una malattia neuromuscolare è possibile, in futuro questa possibilità sarà anche più estesa, grazie agli ulteriori avanzamenti permessi dai nuovi farmaci contro la SMA come il Nusinersen, la terapia genica e, ultimo arrivato, il Risdiplam.

Non ci sono accorgimenti particolari per queste donne per prepararsi a una gravidanza, se non quelli validi per tutte: «Fare i controlli di routine dal ginecologo già dall’adolescenza e, quando si comincia a pensarci seriamente, eseguire i classici esami preconcezionali, cercare di seguire una sana alimentazione, assumere integratori di acido folico. Per molte donne è importante sapere se anche il loro bambino potrebbe avere la SMA e allora serve il test genetico per il papà. E se si stanno prendendo Nusinersen o Risdiplam in genere il consiglio è interromperli quando si comincia a cercare attivamente la gravidanza: si potrà riprenderli dopo il parto o l’allattamento» consiglia Pane.

Se la gravidanza arriva, invece, serve qualche accortezza in più. «Per cominciare è importante che sia seguita da un ginecologo che abbia anche esperienza con questo tipo di malattie, e che possibilmente lavori nello stesso centro in cui si trova il neurologo (o comunque in stretta connessione). Questo per intervenire tempestivamente se si presentasse qualche complicazione». In particolare, le donne con SMA che aspettano un bambino potrebbero avere difficoltà respiratorie, perché la pancia spinge sul diaframma via via che cresce. «Per questo richiediamo qualche controllo in più sulla respirazione e raccomandiamo di non aumentare troppo di peso. Inoltre, raccomandiamo di non abbandonare la fisioterapia, anche se comporta un po’ di fatica in più. Quanto al parto, tendenzialmente è raccomandato il cesareo».

Non sarà una passeggiata: oltre ai possibili problemi respiratori ci sono i disturbi della gravidanza (più o meno intensi, come per tutte le donne) e possono intervenire difficoltà motorie aggiuntive. «A un certo punto della gravidanza di Flavio – ricorda per esempio Marinella – non riuscivo più a muovere le braccia in modo da mangiare o bere autonomamente. Non è stato un momento facile, ma sapevo quel era l’obiettivo: mio figlio». Per fortuna, il problema non si è ripetuto durante l’attesa di Martina.

«Le difficoltà vanno messe in conto, ma il messaggio da passare è che avere un figlio è possibile, e che queste difficoltà possono essere superate per arrivare a una maternità del tutto soddisfacente»

Marika Pane

Questa, tra l’altro, è anche la conclusione di un piccolo studio clinico condotto in Francia e pubblicato poche settimane fa sull’Orhpanet Journal of Rare Diseases.

Studiando le interazioni tra neomamme con disabilità motorie dovute a varie condizioni rare (tra le quali la SMA e la malattia di Charcot-Marie-Tooth) e i loro bambini, gli autori hanno osservato che se è vero che in alcuni casi posso esserci difficoltà genitoriali che complicano l’instaurarsi di una ‘sana’ relazione mamma-bambino, è altrettanto vero che in altri casi può esserci pieno successo in questo senso. E per quanto possa apparire sorprendente, non si è vista associazione tra eventuali difficoltà e il livello di disabilità: a contare è piuttosto il sostegno che viene dato alla neomamma.

Diventare mamma con la fibrosi cistica

Le buone notizie non riguardano solo la SMA: anche per donne con altre malattie genetiche rare è aumentata in modo significativo la possibilità di diventare mamme. Vediamo un paio di esempi.

«Negli ultimi 50 anni, l’approccio multidiscplinare alla malattia ha cambiato in modo radicale la prospettiva di vita dei pazienti con fibrosi cistica, che ora possono raggiungere e superare l’età adulta. Per questo sono sempre più numerose le donne con fibrosi cistica che cercano di diventare madri» scrive il professor Peter Middleton, direttore del Servizio fibrosi cistica del Westmead Hospital di Sidney, in Australia, nell’editoriale di un recentissimo numero del Journal of Cystic Fibrosis ampiamente dedicato a gravidanza e maternità in presenza di questa malattia.

«Dalla prima descrizione di una gravidanza con esito positivo per una donna con fibrosi cistica, risalente al 1960 – continua Middleton – si sono accumulati negli anni dati che mostrano il progressivo miglioramento degli esiti sia per le mamme sia per i bambini». In generale, i risultati degli studi dicono che se la situazione di partenza è buona – con malattia stabile, funzionalità respiratoria almeno discreta, buono stato nutrizionale, eventuale diabete ben controllato – e la gravidanza è seguita bene, da un’équipe multidisciplinare, non sembrano esserci effetti negativi. Neanche a lungo termine: aver vissuto una gravidanza non sembra cioè aggravare la malattia. Secondo uno studio pubblicato lo scorso settembre sempre sul Journal of Cystic Fibrosis, lo stesso vale per le mamme anche se le condizioni di partenza non sono particolarmente buone (per esempio se è presente insufficienza pancreatica o infezione da Pseudomonas aeruginosa), ma in questo caso aumentano i rischi di parto prematuro e di ritardo di crescita fetale.

Quello che rimane da capire è l’effetto sulla gravidanza, ma soprattutto sulla salute fetale, dei nuovi farmaci modulatori della proteina CFTR, come ivacaftor o la combinazione elexacaftor/tezacaftor/ivacaftor, che stanno cambiando la storia naturale della malattia nei gruppi di pazienti per i quali sono indicati. Secondo i dati disponibili, oltre a portare un miglioramento della fertilità femminile questi farmaci sembrano ben tollerati in gravidanza e in allattamento e sembrano comportare benefici certi per la mamma. Al momento, però, non si possono del tutto escludere possibili rischi per il feto. Servono studi più ampi e prolungati per capire quale sia esattamente il bilancio tra rischi e benefici nelle varie possibili condizioni di malattia.

Diventare mamma con la talassemia

Un discorso analogo vale per le talassemie: la prima descrizione clinica di una gravidanza con esito positivo per una donna con la malattia risale alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e da allora sono stati descritti oltre 400 gravidanze a lieto fine per mamma e bambino. A riportarlo è una review (un articolo scientifico che riassume i dati disponibili su un argomento fino a un certo momento) pubblicata nel 2019 sul Mediterranean Journal of Hematology and Infectious Diseases. Che riporta un altro dato significativo riferito a un consorzio di centri dedicati alla cura della talassemia in Nord America e Regno Unito: se nel 2004 le gravidanze nelle pazienti di questi centri erano piuttosto rare (meno dell’8%), dieci anni dopo erano diventate decisamente frequenti (25%).

Come per le malattie neuromuscolari e la fibrosi cistica, la review ricorda che anche nel caso della talassemia gli elementi fondamentali per una gravidanza serena sono due:

  • pianificazione, anche per avviare la ricerca della gravidanza in un buon momento rispetto alla malattia;
  • assistenza da parte di una squadra multidisciplinare che comprenda ginecologo, cardiologo, endocrinologo, psicologo se necessario e, naturalmente, l’esperto di talassemia.

Le possibili complicazioni sono quelle legate ad alterazioni della funzionalità cardiaca, che deve quindi essere tenuta sotto stretto controllo per tutta la gravidanza e dopo il parto. In caso di insufficienza cardiaca preesistente, la gravidanza è in genere sconsigliata. Le terapie chelanti, quelle che servono a catturare il ferro che si accumula in seguito alle trasfusioni, sono in genere sconsigliate perché non ci sono dati sufficienti per escludere effetti negativi sullo sviluppo del feto. In alcuni casi possono comunque essere riprese verso la fine del secondo trimestre di gravidanza, se la situazione materna lo richiede.

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Il mondo di Sofia

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