Si chiama miosclerosi e fino a ieri faceva parte del gruppo delle malattie di cui non si conosce la causa. Ma oggi non lo è più, grazie al lavoro di Paolo Bonaldo dell'Università di Padova e di Luciano Merlini e Alessandra Ferlini dell'Università di Ferrara, ricercatori finanziati da Telethon. Come riportato sulle pagine della rivista Neurology*, i ricercatori hanno infatti scoperto che questa malattia dei muscoli è da imputare a una loro vecchia conoscenza, il collagene di tipo VI, proteina che riveste le fibre muscolari. Difetti nel collagene VI sono alla base di altre due malattie genetiche che colpiscono i muscoli, la distrofia di Ullrich e la miopatia di Bethlem, su cui gli stessi ricercatori lavorano da anni. Entrambe sono caratterizzate da debolezza muscolare (la Ullrich in modo più grave, al punto da condurre a morte i pazienti entro i vent’anni per compromissione dei muscoli respiratori) e da una certa tendenza alle contratture muscolari.

Quest'ultimo aspetto è quello particolarmente marcato nella miosclerosi: i muscoli delle persone affette appaiono legnosi e le articolazioni sono bloccate al punto che anche semplici movimenti come aprire la bocca o girare la testa diventano molto difficili. Per contro, i muscoli respiratori vengono colpiti solo tardivamente. Attualmente la miosclerosi – che è stata scoperta per la prima volta negli anni Cinquanta – è ritenuta una malattia rarissima: sono infatti soltanto poche in tutto il mondo le famiglie a cui è stata diagnosticata.

Tuttavia, come è già accaduto per la miopatia di Bethlem, i casi potrebbero aumentare grazie al progredire delle conoscenze e quindi al miglioramento della capacità di diagnosi. Ma non è tutto. Se i prossimi studi mostreranno che la miosclerosi non condivide soltanto le basi genetiche con le altre malattie del collagene VI, ma anche il meccanismo patologico – ovvero il malfunzionamento dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule – potrebbero anche esserci delle prospettive terapeutiche per le persone affette dalla malattia.

Gli stessi ricercatori, insieme a Paolo Bernardi dell'Università di Padova, hanno infatti recentemente condotto il primo studio pilota per sperimentare una cura farmacologica a base di ciclosporina A per la miopatia di Bethlem e la distrofia di Ullrich. I risultati sono stati promettenti: il farmaco si è infatti dimostrato capace di arrestare la progressione della malattia nelle cellule muscolari prelevate da cinque pazienti, ma anche di stimolare la nascita di nuove fibre. I ricercatori sono ora al lavoro per confermare questi risultati su un numero maggiore di malati, oltre che su un periodo di tempo più lungo. Non solo: visti gli effetti collaterali della ciclosporina A (abbassamento delle difese immunitarie), i ricercatori vorrebbero testare degli altri farmaci, dagli effetti analoghi ma più sicuri. Ma alla luce dei risultati pubblicati oggi cercheranno anche di capire se la stessa terapia può essere efficace anche per i malati di miosclerosi. E chiudere così il cerchio.

*L. Merlini et al, "Autosomal recessive myosclerosis myopathy is a collagen VI disorder". Neurology, 2008 71: 1245-1253.

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