Il trattamento con un farmaco utilizzato su cellule di pazienti affetti dalla malattia di Pompe, o glicogenosi di tipo II, ha ripristinato i livelli dell’enzima mancante in 4 ammalati su 8. Il risultato, pubblicato su Molecular Therapy*, è frutto del lavoro finanziato da Telethon e condotto da Giancarlo Parenti, professore associato presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli e ricercatore dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Napoli, in collaborazione con Generoso Andria, direttore del dipartimento clinico di Pediatria, Università Federico II.
 
Allo studio hanno partecipato Andrea Ballabio, direttore del Tigem, e Mirella Filocamo, che dal 1993 riceve finanziamenti Telethon per l’allestimento e il mantenimento di linee cellulari e di una banca di Dna provenienti da pazienti affetti da malattie genetiche.

La malattia di Pompe è una malattia metabolica ereditaria altamente invalidante dovuta al deficit di un enzima lisosomiale chiamato alfa-glucosidasi acida (Gaa), fondamentale per la degradazione del glicogeno e per la funzionalità delle cellule muscolari scheletriche e cardiache. Compito del lisosoma, organello all’interno della cellula muscolare, è infatti quello di frantumare alcune macromolecole tra cui il glicogeno.
La malattia è caratterizzata da un quadro clinico tipico di una grave miopatia: progressiva debolezza muscolare e insufficienza cardiorespiratoria, che dipendono dal danno provocato alla cellula muscolare, nei cui lisosomi si accumula glicogeno. Attualmente è disponibile una terapia enzimatica sostitutiva, basata sulla somministrazione endovenosa periodica dell’enzima alfa-glucosidasi, ma gli effetti di questa terapia sulla muscolatura scheletrica sono limitati e variabili, e sembrano suggerire che la miopatia non regredisca completamente.
 
Esiste però una via alternativa: si tratta di un gruppo di farmaci chiamati “chaperones farmacologici”, capaci di migliorare la stabilità e la maturazione dell’enzima mutato: stimolando l’attività residua dell’alfa-glucosidasi ne ripristinano in parte la funzione. Anche solo il 10% in più di attività enzimatica può cambiare il decorso della malattia, spiega Parenti. Per ora l’unico neo è che questi composti (imino-zuccheri) sono efficaci solo per alcuni dei difetti genetici alla base della malattia di Pompe: l’alterazione nel gene Gaa può infatti essere di diverso tipo. Abbiamo tra le mani un nuovo approccio terapeutico per la malattia di Pompe, che stimola l’attività residua dell’enzima deficitario nelle cellule di alcuni pazienti i cui difetti genetici rispondono bene al trattamento con gli “chaperones farmacologici.
 
Per ora l’efficacia del trattamento è stata verificata su fibroblasti in coltura provenienti dalla collezione “Biobanca di cellule e Dna da pazienti affetti da malattie genetiche”, presso il laboratorio di Diagnosi pre-postnatale malattie metaboliche dell’Istituto G. Gaslini di Genova e gestita da Mirella Filocamo. È però plausibile che i suddetti farmaci possano trovare un’applicazione clinica per la cura di alcuni pazienti con malattia di Pompe, quelli con la forma ad esordio infantile non-classica e con la forma ad esordio tardivo.
 
Per di più, uno dei due composti utilizzati (l’NB-DNJ) è una molecola già disponibile in commercio per altre indicazioni cliniche (malattia di Gaucher) e in teoria potrebbe essere somministrata ai pazienti senza la necessità di trial clinici di fase I.
 
*Parenti et al. Molecular Therapy 2007 Jan 9; [Epub ahead of print]
 
 
LA STORIA DI ROSSELLA
Tra i quattro campioni di cellule (sugli otto utilizzati) che hanno risposto positivamente allo studio del professor Parenti, c’era anche quello appartenente ad una bimba di nome Rossella. La storia della piccola, affetta da Glicogenosi di tipo II, è salita agli altari della cronaca nel 2002, quando Rossella era ricoverata all’Ospedale Monaldi di Napoli. La consegna da parte di una multinazionale statunitense, la Genzyme, del farmaco per la terapia enzimatica sostitutiva, di cui la bambina aveva bisogno, stava subendo un forte ritardo.

Per sensibilizzare le autorità italiane competenti, mamma Tilde e papà Biagio iniziarono uno sciopero della fame ed esposero cartelli e striscioni davanti al nosocomio partenopeo. La protesta catturò l’attenzione dei media e, qualche giorno dopo, l’allora Ministro della salute, Girolamo Sirchia, fece visita a Rossella con la promessa di attivarsi per risolvere la situazione. In breve tempo la Società americana provvide alla distribuzione del farmaco. Ora il Professor Parenti ha avviato uno studio su modelli animali per cercare di stabilire una auspicabile compatibilità tra il nuovo approccio farmaceutico, basato sulla stimolazione dell’attività residua di produzione dell’enzima mancante, e la terapia incentrata sull’uso del farmaco statunitense che prevede la somministrazione esogena dell’enzima.
 
È proprio dalla correlazione tra le due terapie che si spera di avere i migliori risultati per la regressione della gravità della malattia ed un conseguente miglioramento della qualità di vita del paziente. Quindi, nel caso in cui gli sviluppi della terapia del professor Parenti fossero positivi, Rossella potrebbe essere tra i primi pazienti a beneficiarne.

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