La cardiologa molecolare Silvia Priori studia la sindrome del QT lungo, una malattia genetica che colpisce il cuore, e spiega come la diagnosi precoce - principalmente basata sull’elettrocardiogramma - è fondamentale per arginare i rischi.

Silvia Priori

«Nei nostri laboratori studiamo le malattie genetiche che aumentano il rischio di arresto cardiaco. Malattie che possono essere silenti per anni: i pazienti, infatti possono avere una vita assolutamente normale e poi un giorno, inaspettatamente, il loro cuore va in tilt». La cardiologa molecolare Silvia Priori racconta con passione l’impegno con cui lei e il suo team degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri, Irccs di Pavia, cercano di fare chiarezza su malattie aritmogene ereditarie, come la sindrome del QT lungo.

Lei da oltre trent’anni ci mette testa e cuore, consapevole che la ricerca può fare la differenza nella vita delle persone: di pazienti e familiari.

«Dedicare la vita alla ricerca significa partecipare all’avanzamento dell’umanità e contribuire ad avere la meglio su malattie ancora senza cura».

È una sfida impegnativa, «scandita dal forte senso di responsabilità, ma anche da tante belle emozioni». Parole che suonano come un invito ed un messaggio di incoraggiamento per chi ancora siede sui banchi di scuola e si chiede se vale la pena avventurarsi nel mondo della ricerca biomedica.

Al centro dei suoi studi, dicevamo, il cuore e le irregolarità del battito che possono provocare morte improvvisa. La sindrome del QT lungo è causata da un’anomalia dell’attività elettrica del nostro muscolo cardiaco. «Le aritmie sono causate da un difetto genetico in alcune proteine chiamate canali ionici che giocano un ruolo chiave nel modulare l’attività elettrica del cuore inficiandone la contrazione e di conseguenza la sua funzione di pompare il sangue». Si tratta di una malattia genetica relativamente frequente nella popolazione (colpisce 1 su 2.500 nati). «Per anni può non palesarsi e così il paziente può sembrare sano fino a che una “tempesta perfetta” scatena le aritmie». La gravità della malattia è molto variabile e, almeno in parte, dipende dal tipo di gene e mutazione. «Ci sono pazienti, infatti, predisposti ad avere svenimenti improvvisi e, nei casi più gravi, arresto cardiaco quando svolgono attività fisica, altri invece in caso di stress emotivo per esempio innescato dallo spavento per rumori improvvisi».

La diagnosi precoce - principalmente basata sull’elettrocardiogramma - è fondamentale. Il nome della malattia “sindrome del QT lungo” deriva dall’intervallo QT dell’elettrocardiogramma che, nei pazienti, è più lungo del normale. Il QT è l’intervallo di tempo compreso tra l’onda Q e l’onda T della registrazione elettrocardiografica che il cardiologo sa identificare e può quindi misurarne la durata.

L’analisi genetica gioca un ruolo chiave: l’identificazione delle mutazioni è importante per confermare la diagnosi, valutare il rischio aritmico e personalizzare la gestione clinica e terapeutica del paziente. «Sulla base della durata dell’intervallo QT e del difetto genetico, è possibile infatti identificare i pazienti a più alto rischio di eventi cardiaci» spiega Priori.

La terapia ruota essenzialmente intorno ai farmaci betabloccanti, che non accorciano l’intervallo QT, ma vengono somministrati per proteggere il cuore dalla attivazione di nervi che rispondono allo stress e all’esercizio fisico che di solito causano le aritmie. I betabloccanti nella maggior parte dei casi riescono a prevenire i sintomi. Nei casi in cui la terapia farmacologica non sia sufficiente si ricorre all’impianto di un defibrillatore.

«La durata del’intervallo QT - spiega la responsabile della Cardiologia Molecolare della Maugeri di Pavia - è il più forte predittore di eventi avversi: i pazienti con l’intervallo molto prolungato sono a rischio maggiore per questo, grazie al supporto di Telethon, abbiamo aperto una nuova pagina del nostro percorso di ricerca con l’intento di identificare strategie molecolari efficaci per correggere i difetti genetici responsabili della sindrome. L’obiettivo è individuare farmaci, tra quelli già conosciuti o svilupparne nuovi, in grado di attivare i canali che regolano il flusso di ioni quali calcio sodio e potassio all'interno delle cellule cardiache, così da riportare entro parametri normali il battito cardiaco».

L’impegno di Silvia Priori nella ricerca, riconosciuto a livello mondiale, si affianca al suo impegno per sensibilizzare i cittadini e le cittadine a non sottovalutare l’importanza dell’elettrocardiogramma per identificare i portatori di questa malattia.

«Delle malattie del cuore se ne parla poco. Si sottovaluta il fatto che, purtroppo, possono colpire a qualsiasi età e che anche se una persona può apparire sana può nascondere sotto sotto qualcosa che non va. Nel caso della sindrome del QT lungo, quel qualcosa può essere riscontrato e interpretato con l’elettrocardiogramma». E a tal proposito, sottolinea l’importante ruolo dei medici dello sport la cui collaborazione è determinante per identificare casi sospetti di questa patologia.

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