L’emergenza “mucca pazza” che a metà degli anni Novanta ha colpito il Regno Unito li ha fatti balzare agli onori della cronaca in tutto il mondo: sono i prioni, agenti patogeni assolutamente peculiari e in parte ancora misteriosi per gli scienziati, capaci di provocare nel tempo una progressiva e inesorabile degenerazione del cervello di svariate specie animali.

Come spiega Gianluigi Forloni, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, «si tratta di varianti anomale di una proteina cellulare che tendono ad aggregarsi fra di loro e a indurre anche la proteina normale ad assumere una conformazione aberrante. Con il tempo la variante prionica prende il sopravvento e si accumula, portando alla morte la cellula nervosa. Se inizialmente il bilancio tra proteine normali e anomale è sostenibile per il neurone, probabilmente grazie a dei meccanismi di “pulizia”, con il tempo l’equilibrio si rompe: il nostro obiettivo è proprio posticipare il più possibile questo punto di non ritorno, preservando così la sopravvivenza delle cellule nervose». Tuttavia i meccanismi con cui i prioni risultino tossici per il cervello non sono ancora del tutto chiari, così come il loro ruolo fisiologico.

Un recente contributo in questo senso porta la firma di Roberto Chiesa, ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco che lavora a sua volta presso l’Istituto Mario Negri, che ha dimostrato come l’accumulo della proteina prionica alterata ostacoli il normale trasporto alla membrana cellulare dei canali per lo ione calcio, messaggero chimico essenziale per l’attività neuronale.

Le malattie da prioni che possono colpire l’uomo sono distinte in forme genetiche, sporadiche e trasmissibili. Le forme genetiche dipendono da specifiche alterazioni del gene che codifica per la proteina prionica: la malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker, che provoca una progressiva incapacità di coordinare i movimenti, e l’insonnia fatale familiare, demenza accompagnata da insonnia intrattabile e alterazioni del sistema motorio. Quella di Creutzfeldt-Jakob, caratterizzata da demenza e disturbi del sistema motorio, è invece generalmente una malattia sporadica (le forme familiari rappresentano solo il 15 per cento del totale), ma in rari casi può essere trasmessa per via infettiva, anche tra specie diverse come i bovini e l’uomo. «Per quanto questi siano eventi estremamente rari - solo 200 quelli registrati ad oggi - sono molto significativi per capire la duplice natura dei prioni - spiega Fabrizio Tagliavini dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano -. Il fatto che alcune persone si siano potute ammalare a seguito dell’ingestione di carne bovina infetta o di trasfusioni di sangue donato da persone ancora asintomatiche ma già malate ci dice come i prioni possano comportarsi anche da agenti infettivi, capaci in rarissimi casi di superare anche le barriere di specie. Per fortuna cervello e midollo spinale, gli organi “bersaglio” dei prioni, sono ben protetti e difficilmente accessibili, per cui queste patologie sono di fatto piuttosto rare».

E le prospettive terapeutiche? Per quanto molto eterogenee nella manifestazione clinica, nell’origine e nell’età di insorgenza, queste patologie hanno in comune una, temibile, caratteristica: restano silenti e invisibili per diversi decenni, in cui le persone appaiono del tutto sane, ma quando iniziano a manifestarsi evolvono rapidamente e non c’è niente da fare. «Ecco perché - commenta Tagliavini - pensare a degli approcci terapeutici che prevengano o quantomeno posticipino la manifestazione dei sintomi clinici è la strategia più promettente: quando il danno neurologico è evidente è sempre troppo tardi. In questo senso lo studio Telethon sull’insonnia fatale familiare è assolutamente innovativo e potrà fare da apripista anche per altre malattie neurodegenerative più diffuse come per esempio quella di Alzheimer».    

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