Per la prima volta, un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (Hsr-Tiget) e dell’Università Vita Salute San Raffaele, in collaborazione con Sangamo BioSciences, ha riscritto una sequenza di Dna in cellule staminali umane, sfruttando dei virus modificati. I virus fungendo da “vettori” hanno veicolato una sorta di “equipe di chirurghi” che ha sostituito i pezzi di Dna difettosi direttamente nelle cellule in vitro.

Il lavoro è stato pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Nature Biotechnology*. Fino ad oggi per correggere un difetto genetico bisognava introdurre dall’esterno una copia artificiale del gene che ripristinasse la funzione difettosa di una cellula ma questa tecnica poteva solo approssimare il funzionamento di una cellula normale. Infatti il gene artificiale non può ricapitolare tutte le proprietà di quello normale e, non ritrovandosi nella sua sede naturale nel Dna, manca della normale regolazione. Con questo nuovo approccio sarà invece possibile correggere direttamente il Dna, ripristinando sia la corretta sequenza sia il normale controllo di un gene.
 
Il metodo utilizzato è il gene targeting, fondamentale per studiare la funzione dei geni e la loro associazione alle malattie, come riconosciuto al suo scopritore Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina e Fisiologia di quest’anno. Grazie a questa tecnica il ricercatore può scegliere come e quali sequenze di Dna del genoma vuole cambiare e ciò permette di valutare nel dettaglio la funzione di ogni gene durante lo sviluppo embrionale o nelle fasi successive. Questo avviene attraverso la cosiddetta ricombinazione omologa, quel fenomeno naturale per cui nel caso una copia del Dna venga irreversibilmente danneggiata, la cellula sfrutta l’altra copia per riparare il Dna e ricopiare fedelmente le informazioni andate perdute.
 
Tutte le cellule infatti contengono un doppio patrimonio di informazioni genetiche, originato per metà dalla madre e metà dal padre. Fino ad ora il gene targeting è stato utilizzato nei topi per creare modelli di malattie da studiare ma da tempo si era proposto di verificarne l’applicazione alle cellule di un individuo affetto da una malattia genetica per correggere la mutazione responsabile e ripristinarne la funzione. Purtroppo, però, la frequenza con cui si ottiene gene targeting con le tecniche convenzionali e’ talmente bassa da impedirne questo utilizzo. Infatti, solo una cellula su 10.000 o 100.000 cellule trattate contiene la modificazione voluta e deve essere ricercata tra le altre come il tradizionale ago in un pagliaio.
 
L’ostacolo è stato ora superato dallo sforzo congiunto dei ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica del San Raffaele di Milano e della Sangamo Biosciences. Grazie alla combinazione delle tecniche sviluppate dai due gruppi di ricerca la percentuale di successo di questa tecnologia è aumentata fino al 50% delle cellule trattate. I ricercatori californiani hanno sviluppato una potente tecnologia che ingegnerizza le proteine indirizzandone l’azione su una specifica sequenza di Dna. Dopo aver identificato una regione da bersagliare, costruiscono dei “chirurghi molecolari” assemblando “dita di Zinco” (Zinc Finger), moduli proteici ciascuno dei quali si lega ad una particolare tripletta di basi del Dna, con un microbisturi, l’enzima che taglia il Dna (nucleasi). Il taglio della sequenza di Dna prescelta stimola potentemente la ricombinazione omologa.
 
Lo sfruttamento di questa tecnologia è però stato finora limitato dalla difficoltà di introdurre nelle cellule i componenti necessari. I ricercatori del San Raffaele-Tiget hanno sfruttato la grande esperienza nel disegno ed utilizzo di vettori per la terapia genica per costruire un virus modificato capace di veicolare tutta l’equipe microchirurgica nelle cellule che una volta introdotta nella cellula ha potuto svolgere il suo lavoro e modificarne il Dna.
 
Commenta Angelo Lombardo, dottorando di ricerca dell’Universita’ Vita Salute San Raffaele che ha eseguito molti degli esperimenti al San Raffaele-Tiget: I nostri risultati ampliano le prospettive di impiego delle cellule staminali in terapia. Le cellule staminali sono la riserva naturale dell’organismo per il ricambio e la riparazione dei tessuti. Una volta isolate le cellule staminali del sangue da un paziente affetto da malattia ereditaria, la possibilità di modificarne con precisione le informazioni genetiche ci consentirà di correggere la mutazione responsabile della malattia e di reinfonderle nell’organismo per generare globuli bianchi e rossi sani.”

Aggiunge però cautela il professor Luigi Naldini, condirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica e coordinatore dello studio: “Il nostro lavoro ha fornito una importante prova di principio, ma per l’applicazione alla terapia dobbiamo ancora aspettare. Bisognerà prima valutare con attenzione le possibili complicanze della chirurgia molecolare del Dna. Se tutto andrà per il meglio, tra 4/5 anni potremo cominciare a sperimentare la “correzione del Dna” proprio in quelle malattie come l’immunodeficienza congenita legata al cromosoma X in cui la terapia genica ha dimostrato la sua potenzialità ma anche i rischi legati ad una espressione non controllata del gene terapeutico.”
 
Il lavoro è stato co-finanziato da Telethon, Unione Europea e Sangamo Biosciences.

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