Il 21 giugno è dedicato alla sensibilizzazione sulla sclerosi laterale amiotrofica: un’occasione per raccontare gli avanzamenti della ricerca finanziata da Fondazione AriSLA, alla quale contribuisce da sempre anche Telethon, tra i suoi fondatori.

Come ogni anno, torna il 21 di giugno - il solstizio d’estate, una data di svolta - la Giornata mondiale dedicata alla Sla, sclerosi laterale amiotrofica. Per Fondazione Telethon è l’occasione per fare il punto sulla ricerca scientifica sulla Sla sostenuta e promossa in oltre dieci anni di attività da Fondazione AriSLA: il principale ente non profit italiano dedicato a questa causa, fondato nel 2008 proprio da Fondazione Telethon con Aisla onlus (Associazione italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), Fondazione Cariplo e Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport. Una ricerca di sicuro molto impegnativa, perché la malattia è estremamente complessa, ma che comincia a dare risultati incoraggianti.

È il caso dei risultati di uno studio clinico pubblicato poche settimane fa sulla rivista Brain, che ha individuato un rallentamento della progressione per alcune forme di malattia in seguito a un trattamento combinato riluzolo più guanabenz, dando indicazioni per un’eventuale futura sperimentazione clinica di conferma.  

Sla: una malattia complessa

La Sla è una malattia neurodegenerativa dell’età adulta, che esordisce in genere tra i 40 e i 70 anni, caratterizzata dalla compromissione dei motoneuroni, cioè le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari, coinvolti nel movimento ma anche in funzioni vitali come deglutizione, fonazione e respirazione. Un sintomo caratteristico è la progressiva perdita della forza muscolare che porta all’incapacità di muoversi in modo autonomo. Possono comparire inoltre rigidità muscolare (spasticità) e contrazioni involontarie, ma anche difficoltà nel parlare o nel deglutire. In genere, l’esito infausto è dovuto alla compromissione dei muscoli respiratori. Sono circa 6000 persone in Italia le persone con Sla, con 2-3 diagnosi di nuovi casi ogni 100 mila abitanti all’anno.

Si tratta di una malattia di grande complessità a diversi livelli, a partire dalla eterogeneità delle manifestazioni cliniche, che nella maggior parte dei casi interessano le capacità motorie, mentre in alcuni pazienti coinvolgono anche le capacità cognitivo-comportamentali, con diagnosi di demenza fronto-temporale. La diagnosi è complicata dal fatto che non esistono test specifici, per cui è in genere il neurologo a eseguirla, in base alla sua esperienza e alle caratteristiche della progressione della malattia.

In circa il 10% dei casi, la Sla appare in diverse generazioni di una famiglia, causata direttamente da una mutazione genetica. In questo caso si parla di Sla familiare. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la malattia appare in modo sporadico, senza motivo apparente e senza alcun legame familiare noto. Le forme di Sla familiare e sporadica sono clinicamente indistinguibili, suggerendo una convergenza degli eventi cellulari e molecolari che portano alla degenerazione dei motoneuroni. Le mutazioni messe finora in relazione con l’insorgenza della SLA sono numerose, ma si ritiene che entrambe le forme della malattia siano la conseguenza dell’interazione di fattori di diversa natura: genetici, ambientali e legati all’invecchiamento.

Il meccanismo biologico responsabile della malattia non è ancora del tutto chiaro e ne sono stati ipotizzati diversi. Molti tra questi riguardano possibili disfunzioni di vari processi cellulari dei motoneuroni, da carenze nel sistema di trasporto tra il nucleo e altre parti della cellula ad alterazioni nel meccanismo di controllo-qualità delle proteine, da alterazioni del citoscheletro (l’insieme delle strutture che danno forma alla cellula e sono responsabili del trasporto di organelli e nutrienti lungo i prolungamenti delle cellule nervose) a variazioni nel metabolismo dell’rna.

Altri meccanismi riguardano invece altri tipi cellulari che circondano i motoneuroni, come le cellule della glia o cellule del sistema immunitario. Proprio per questo a livello internazionale si sta lavorando su approcci terapeutici che possano agire su questi diversi meccanismi, basati per esempio su farmaci neuroprotettivi, modulatori dell’infiammazione, molecole antiossidanti, cellule staminali o approcci personalizzati di terapia genica per correggere il difetto genetico.

La ricerca sostenuta da AriSLA

Da sempre, AriSLA è al fianco di chi fa ricerca per sconfiggere la Sla e lo fa con investimenti in ricerca di eccellenza, attraverso l’emissione di bandi competitivi e un rigoroso processo di selezione. Il bando 2021 si è chiuso pochi giorni fa e ha registrato oltre 100 proposte di ricerca a testimonianza di quanto questo strumento rappresenti un’opportunità importante per i ricercatori. I progetti che verranno selezionati saranno poi attentamente monitorati sia da un punto di vista economico, sia da quello dei risultati.

A oggi sono stati investiti in ricerca oltre 13,2 milioni di euro - quasi quattro dei quali provenienti direttamente da Fondazione Telethon - che hanno portato al finanziamento di 85 progetti dedicati in particolare alla ricerca di base e preclinica (ma ce ne sono stati alcuni anche di ricerca clinica), con il coinvolgimento di 136 ricercatori.

I risultati di questo sforzo sono stati decisamente significativi dal punto di vista scientifico e hanno contribuito alla creazione di reti di ricerca, portando a lavorare sulla Sla anche ricercatori di elevata competenza provenienti da altri ambiti. La ricerca di base e preclinica ha purtroppo tempi lunghi, ma la vivacità della comunità scientifica italiana che si occupa di Sla fa ben sperare che nei prossimi anni arriveranno buoni frutti. Già non sono mancati risultati con ricadute pratiche molto interessanti. Per esempio: negli ultimi anni la ricerca AriSLA ha permesso la scoperta di sei nuovi geni coinvolti nella malattia, l’identificazione di nuovi potenziali bersagli terapeutici, l’identificazione di nuovi metodi per la diagnosi precoce e il monitoraggio delle malattie neurodegenerativi, basati su un uso avanzato della risonanza magnetica

I risultati più recenti raggiunti dai progetti finanziati

Ad oggi sono 277 le pubblicazioni scientifiche derivate dai progetti finanziati da AriSLA. Tra le più recenti, come accennato, c’è la pubblicazione a inizio maggio su Brain dei risultati di PROMISE, uno studio clinico di fase 2 finanziato da AriSLA e coordinato da Giuseppe Lauria Pinter, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche della Fondazione IRCSS - Istituto Neurologico Carlo Besta. Lo studio ha coinvolto 24 centri neurologici di tutta Italia a cui hanno partecipato 201 pazienti affetti da Sla, che avevano avuto insorgenza dei sintomi nei 18 mesi precedenti, assegnati in modo casuale al trattamento con diverse dosi del farmaco guanabenz (64 mg, 32 mg, 16 mg) oppure con un placebo al giorno per sei mesi, in aggiunta alla terapia standard con riluzolo.

Il guanabenz è un farmaco anti-ipertensivo, non più in commercio, che aveva mostrato un effetto protettivo sui neuroni in studi in vitro su modelli cellulari e animali di Sla. Lo studio clinico è stato disegnato per valutare se questo effetto fosse evidenziabile anche in clinica, valutando la progressione della malattia nel corso di 6 mesi attraverso misure funzionali validate. I risultati hanno preliminarmente indicato un rallentamento della progressione della malattia nei pazienti che hanno assunto il farmaco alle dosi più alte. Ora i ricercatori stanno lavorando per avviare nel 2022 una sperimentazione clinica di conferma, utilizzando una molecola modificata il cui effetto nei modelli in vitro ed animali di Sla è analoga a guanabenz, ma con minori effetti collaterali, quindi più tollerabile.

Un altro studio cofinanziato da AriSLA ha di recente portato all’identificazione di potenziali biomarcatori prognostici della Sla, una sorta di “firma” molecolare in grado di dare indicazioni sulla prognosi della malattia. Si tratta di molecole di microRNA (miRNA) che non contengono informazioni per la formazione di proteine, ma che spesso risultano alterate in alcune condizioni patologiche e che possono anche essere rilasciate nel sangue. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Cell Death Discovery, sono stati frutto di un lavoro coordinato da Irene Bozzoni, professoressa di biologia molecolare alla Sapienza Università di Roma e da due anni a capo di un gruppo di ricerca presso l'Istituto Italiano di Tecnologia e coordinatrice di un progetto europeo sulla Sla e altre malattie neurodegenerative.

Risultati interessanti sono arrivati anche dal gruppo di ricerca guidato da Serena Carra dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Due recentissimi articoli pubblicati sulle riviste scientifiche EMBO Reports e Cell Stress & Chaperones hanno descritto due meccanismi che possono contribuire allo sviluppo di malattie neurodegenerative molto complesse come la Sla, l’Alzheimer, la demenza frontotemporale o alcune forme di miopatie. In particolare, sono state identificate alcune proteine coinvolte nella risposta delle cellule a condizioni di stress, quali agenti ossidanti, aumento della temperatura, infezioni virali o esposizione a metalli pesanti.

Ogni risultato ottenuto dalla ricerca è un passo in avanti, che permette di avvinarci ad una terapia efficace. Come ha dimostrato anche la pandemia di Covid19, è fondamentale continuare a sostenere la ricerca per trovare le risposte di cui abbiamo bisogno e costruire un mondo libero dalla Sla.

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