La malattia è un duplice simbolo: dello screening neonatale, dunque dell’importanza della diagnosi precocissima di alcune condizioni, e delle diete terapeutiche, che come se fossero farmaci possono impedire o attenuare lo sviluppo di sintomi.

La fenilchetonuria, la più diffusa tra le malattie metaboliche rare, è stata la prima malattia per la quale è stato messo a punto un test di semplicissima esecuzione che consente di individuarla poco tempo dopo la nascita. Per questo è considerata un simbolo dello screening neonatale, ma la fenilochetonuria è anche simbolo delle cosiddette diete terapeutiche: diete speciali che rappresentano una forma di medicina in grado di impedire o attenuare lo sviluppo di sintomi importanti.

In effetti non è un caso che la Giornata mondiale della fenilchetonuria si celebri proprio il 28 giugno, una data scelta per ricordare, nel giorno del loro compleanno, due figure chiave nella storia della lotta a questa malattia. Da un lato il microbiologo americano Robert Guthrie (nato nel 1916) che ha messo a punto il primo test diagnostico della malattia da eseguire in epoca neonatale, dall’altra il medico tedesco Horst Bickel (nato nel 1918), che per primo ha proposto una dieta a basso contenuto proteico per limitare i danni provocati dalla malattia.

La fenilchetonuria è causata da mutazioni a carico del gene codificante per un enzima in grado di convertire l’amminoacido fenilalanina (uno dei blocchetti che compongono le proteine) in un altro amminoacido, la tirosina, che serve anche come base per la costruzione di un importante neurotrasmettitore cerebrale. La mancata conversione provoca un accumulo di fenilalanina che a sua volta porta ad alterazioni nello sviluppo del sistema nervoso centrale, comportando disabilità intellettiva. Un esito drammatico che può essere arrestato se però fin dai primissimi giorni di vita (ed ecco perché è stato fondamentale lo sviluppo di un test neonatale) si interviene limitando l’apporto di fenilalanina con la dieta.

In altre parole, significa limitare in modo molto rilevante l’apporto di cibi contenenti proteine, perché conterranno anche fenilalanina: parliamo di carne, pesce, legumi, latte e formaggi, frutta secca, uova, ma anche di pane, pasta, cereali. Poiché però le proteine restano fondamentali per l’organismo, questa strettissima limitazione viene compensata dalla somministrazione di miscele speciali di amminoacidi, che non contengono fenilalanina (e che purtroppo non sono particolarmente appetibili). Come anticipato, le restrizioni dietetiche devono cominciare il prima possibile perché possano avere un impatto significativo sulla malattia, tanto che il primo intervento terapeutico per un bimbo con fenilchetonuria consiste proprio nel ricorso a un latte in formula specifico. La dieta a basso contenuto proteico dovrò poi continuare per tutta la vita.

Come abbiamo raccontato in un articolo dedicato all’impatto delle diete speciali sulle famiglie, il fatto di disporre di indicazioni alimentari che permettono di annullare o attenuare le conseguenze della malattia ha comunque un rovescio della medaglia. La gestione di queste diete non è per niente semplici per i genitori, come non è semplice la loro gestione in ambito scolastico. Ed è molto frequente che, crescendo, i bambini tollerino sempre meno le restrizioni, che però per avere un reale valore terapeutico devono essere seguite in modo molto rigoroso.

Per questo la ricerca non si deve fermare. Un passo significativo è stato fatto negli anni scorsi, con la messa a punto della prima terapia enzimatica sostituiva per la fenilchetonuria, approvata in Europa nel 2019. Si tratta però di un’opzione che riguarda solo alcuni pazienti adulti selezionati: pazienti con forme gravi che non hanno un adeguato controllo della fenilalanina nonostante la dieta speciale. Servono dunque ulteriori avanzamenti, che stanno attualmente riguardando anche la ricerca sulla terapia genica.

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