«Il mio rapporto con la solidarietà è iniziato presto: spesso ho prestato la mia opera e la mia faccia a operazioni che avessero scopi benefici, ma non sempre nella convinzione che lo sforzo fatto portasse benefici concreti ai potenziali destinatari. Poi ho incontrato la Fondazione Telethon e altre grandi organizzazioni che lavorano per chi è meno fortunato, e il mio atteggiamento è cambiato».

Simone Rugiati ha grinta da vendere. Toscano nel midollo, fa parte di quella schiera di chef che, vuoi per le doti da divulgatori, vuoi per un aspetto che non passa inosservato, è approdata presto davanti alle telecamere. Da diversi anni conduce su La7d “Cuochi e Fiamme”, tenzone tra cuochi amatoriali che lui anima con passione e senza quel piglio un po’ troppo “autoritario” che molti suoi colleghi, in situazioni simili, adottano».

Telethon in questi giorni chiede agli italiani un sostegno che permetta anche ai bambini con una malattia genetica rara di “andare lontano”. Ci dai una tua definizione del concetto di “Andare lontano”?

«C’è una frase che racchiude il senso che personalmente attribuisco al concetto di “Andare Lontano” e che presto diventerà il mio prossimo tatuaggio. Suona più o meno così: “Solo quando perdi di vista la costa ti rendi conto che stai attraversando l’Oceano”. Ecco, io sono riuscito a staccarmi dall’approdo sicuro e ho voluto navigare lontano. Ho desiderato fare il cuoco da sempre, dall’età di 4 anni, avevo solo bisogno di capire come convogliare questa energia e dare forma concreta a questa passione. Ho cercato sempre di non pormi limiti a priori, di gettare il cuore oltre l’ostacolo anche quando la situazione mi avrebbe consigliato di desistere dal continuare, anche quando ho attraversato momenti di difficoltà e sofferenza, a costo di farmi dare del testardo. Oggi questa energia costituisce il puntello sul quale appoggiare le gambe per spiccare il salto che mi consente di superare i momenti difficili della vita».

Una grande lezione di fiducia…

«Sì, la stessa fiducia che i bambini con una malattia genetica devono necessariamente riporre nella ricerca scientifica della Fondazione. Non basta l’energia, servono anche risultati concreti. Loro affidano il proprio futuro a ricercatori bravi e preparati, e contano sul fatto che i loro e i nostri sforzi consentano alla ricerca di correre più velocemente verso la terapia. Non possiamo deluderli, in nessun modo».

Allora è necessario che molti altri si uniscano a questa impresa. Qual è il messaggio che vorresti lanciare?

«Dedicate mezza giornata della vostra vita ad andare a vedere di persona cosa fa Telethon, o cosa fanno migliaia di organizzazioni serie e responsabili. In Italia ci hanno abituato, con il cattivo esempio, a pensare male e a dubitare dell’onestà di molte associazioni. Allora bisogna andare a vedere di persona, è ciò che ho fatto io ed è ciò che consiglio caldamente a chi è ancora scettico. Mettiamola anche su un piano egoistico: vuoi stare meglio con te stesso? Vuoi affrontare con un altro animo le piccole disavventure che ti accadono quotidianamente? Allora mettiti di fronte alle difficoltà vere, quelle serie. Dedica un po’ di tempo agli altri. Se non ti fidi, vai a vedere di persona e stimola il desiderio di essere utile per qualcuno. Vedrai che poi scatta qualcosa dentro che ti spinge a fare sempre di più. Io ho fatto così e continuo a farlo tuttora».

Che posto occupa la ricerca nella tua vita?

«Importante. Per il lavoro che faccio, ad esempio, mi occupo di sostenere studi scientifici sull’agricoltura. Ma non ci si può accostare alla ricerca solo nel momento in cui se ne ha bisogno in prima persona. È da ipocriti trascurare la ricerca quando le cose ti vanno bene salvo poi ritornare sui propri passi quando ci si trova in difficoltà. Occuparsi e sostenere la ricerca è un dovere morale e sociale per tutti».

Con “Andare Lontano” si aiutano i bambini affetti da malattie genetiche a non perdere il contatto con la quotidianità consentendo loro di proseguire il corso scolastico. Tu che ricordi hai della scuola?

«Ero bravo ma un casinista totale. Frequentavo una scuola alberghiera lontana da casa che mi costringeva a delle tremende alzatacce mattutine e ad attese estenuanti al freddo di una fermata d’autobus. Ho sofferto non poco ma adesso quei ricordi sono bellissimi. Sono quei sacrifici che mi hanno dato e mi regalano ancora la forza di “spingere” nei momenti negativi. Ho pelato patate e eviscerato pesce per due lire all’inizio, ma lo rifarei. Il benessere di oggi è frutto di tanto lavoro, e ciò che mi consente di godere a pieno di ogni soddisfazione è la consapevolezza che nulla mi è stato regalato».

Pazienti

Il mondo di Sofia

Il sorriso di Sofia è quello di tutti i bambini che dalla ricerca possono ricevere il dono più grande: un futuro.

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