Programma “Malattie senza diagnosi”: così le famiglie escono dal buio

«È cambiato il mondo, praticamente». Risponde così, Angelo Selicorni, pediatra, medico genetista e responsabile dell'Unità operativa di genetica clinica pediatrica alla Fondazione MBBM di Monza, quando gli si chiede di spiegare come negli anni la ricerca ha cambiato il suo modo di lavorare. «Speravo che questo campo avrebbe avuto grandi sviluppi, ma i progressi hanno superato anche la mia immaginazione». Selicorni è il responsabile per il suo centro clinico per il Programma “Malattie senza diagnosi” di Fondazione Telethon, per dare una speranza a chi non sa dare un nome alla sua malattia.

Si occupa di genetica medica da più di 35 anni: «Quando ho iniziato ad occuparmi di genetica pediatrica, tutto quello che si poteva fare per trovare una diagnosi - spiega - era guardare i sintomi del bambino, senza alcun test per verificare le intuizioni del clinico. Ho vissuto in prima persona come con l’incremento delle conoscenze della biologia molecolare siamo riusciti a sviluppare test di laboratori mirati, per confermare la diagnosi di specifiche malattie. Ora però siamo di fronte ad un cambiamento epocale», aggiunge con genuino entusiasmo.

È un vero e proprio cambiamento di prospettiva, in cui si innesta anche il Programma “Malattie senza diagnosi”. «Adesso quando ho di fronte un bambino con una malattia genetica complessa, che non riesco a diagnosticare dai suoi sintomi, posso interrogare il suo genoma, e trovare le informazioni che mi servono per spiegare le caratteristiche del paziente». Il Programma, che fa capo all’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli (Napoli), è pensato soprattutto per i più unici tra i rari, coloro che hanno malattie che interessano solo pochi. Riuscire ad identificare il difetto genetico in questi casi ha ricadute pratiche anche immediate: «Ci permette di fare counseling genetico in maniera corretta alla famiglia: sapere se c’è il rischio che la malattia si possa ripresentare con una seconda gravidanza, è quantificare quel rischio, è un’informazione estremamente importante e estremamente pratica» spiega Selicorni.

«Un altro degli obiettivi del Programma è dare un nome alla malattia: nel momento in cui hai una diagnosi puoi iniziare a confrontarti, forse con poche persone al mondo, dando qualche sprazzo di indicazione su quelle che possono essere le complicanze o la prognosi. Il paziente passa da essere una specie di marziano senza nome a E.T., meno alieno perché finalmente ha un nome». Il percorso non è facile: «Servono ovviamente sforzi internazionali per mettere insieme queste informazioni, ma senza iniziative come quella di Fondazione Telethon, questo lavoro non si può neppure iniziare».

Progrediscono i mezzi, ma la motivazione di Selicorni è sempre la stessa: «Da pediatra, il fine è sempre quello di curare i bambini. Questi pazienti e le loro famiglie hanno bisogno di qualcuno che li prenda per mano e li accompagni nel loro percorso, non solo dal punto di vista della diagnosi, ma anche da quello assistenziale, anche se non c’è una terapia. È una funzione medica, sociale e umana che io penso sia importantissima, e per questo mi sono sempre trovato bene in questo ruolo».

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