Uno sguardo inedito e leggero sulla vita in laboratorio: immagini realizzate dai ricercatori dell’ SR-Tiget raccontano passione, impegno e quotidianità dietro ogni traguardo.
 LABbey ROAD Autori: Lauren Randolph, Nikita Pinto, Riccardo Piussi, Deborah Donzel 
 DO YOU NEED A HAND? Autori: Laura Alessandrini, Martina Fiumara, Luisa Albano, Chiara Gaddoni, Daniele Canarutto, Camilla Manzi 
 L’UMARELL Autori: Michela Milani, Marco Monti 
 MA COME TI VESTI ?! Autori: Stefania Crippa, Evelyn Savoia, Ludovica Santi, Cristina Ruatti, Selene Ceriotti 
 THE CHALLENGE OF A MULTIFACETED JOB Autori: Claudia Asperti, Maria Sole Vespasiano, Federica Fardella, Beatrice Martini, Erika Zonari 
 CHEERS TO SCIENCE Autori: Piergiuseppe Quarato, Deborah Cipria, Valeria Mollica, Matteo Conti, Stella Fulco, Miriana Rizzo 
 WHEN TECHNOLOGY MAKES YOUR LIFE HARDER Autrice: Claudia Asperti 
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Dimenticate il genio solitario chiuso nel suo laboratorio e le scoperte rivoluzionarie frutto di intuizioni improvvise: il lavoro del ricercatore non è quello descritto nei romanzi e nei film. In cosa consiste questo percorso professionale impegnativo, ma appagante e affascinante? Come si svolge l’attività quotidiana negli studi e nei laboratori, quali legami si formano tra i colleghi che condividono lo stesso impegno e gli stessi obiettivi? Quali sono le abilità richieste a chi vuole intraprendere questa strada?
Ecco la realtà dietro le quinte, raccontata dai suoi protagonisti: Martina Fiumara e Piergiuseppe Quarato, ricercatori post-dottorato, e Michela Milani, project leader all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano. La sveliamo attraverso cinque parole chiave.
Conoscenza
Tutto ha inizio con la parola “conoscenza”. L’obiettivo a cui mira da sempre la ricerca scientifica e che spinge tanti giovani a intraprendere questa strada. Nel corso della storia l’essere umano ha svelato tanti segreti della natura ma tanti ancora sono un terreno sconosciuto da esplorare. «Quella che ci guida nel nostro lavoro è la passione di scoprire», dice Piergiuseppe Quarato, che si occupa di epigenetica, cioè l’insieme dei meccanismi che regolano l’espressione dei geni nelle cellule (nel suo caso, in particolare, le cellule staminali del sangue). «Attraverso il nostro lavoro, ci impegniamo ad affrontare interrogativi tuttora senza risposta. Lungo la strada spesso incontriamo ostacoli, a volte risultati inaspettati che ci impongono di fermarci e ricalcolare il nostro percorso. Alla fine, però, impariamo sempre qualcosa di nuovo. Questo è il bello della ricerca».
Le battute d’arresto possono essere frustranti, ma il gioco vale la candela. «A volte sembra di avere un’idea brillante, poi improvvisamente scopri che l’ipotesi che stavi seguendo era sbagliata», osserva Michela Milani, che si occupa di terapia genica per le malattie genetiche rare del fegato e del sangue. «A volte invece c’è il risultato che ti permette di spingere un po’ più in alto l’asticella della conoscenza e allora ti rendi conto che sei il primo a capire una cosa che nessun altro conosce al mondo, perché l’hai appena scoperta. E questo per me è impagabile».
Impegno
Progredire nel cammino della conoscenza richiede tanto lavoro. Ed ecco la nostra seconda parola: “impegno”. «Prima di tutto viene lo studio» spiega Martina Fiumara, che indaga su come correggere i difetti genetici delle cellule staminali del sangue. «Bisogna tenersi informati, leggere i lavori che quotidianamente vengono pubblicati in tutto il mondo. È attraverso lo studio che arriviamo a formulare idee, ipotesi. Poi dobbiamo progettare e condurre esperimenti per metterle alla prova con rigore scientifico. In questa fase il lavoro è anche manuale. I dati raccolti devono essere analizzati e interpretati e, infine, se tutto va bene, l’auspicio è quello di pubblicare i risultati per condividerli con tutta la comunità scientifica».
Il lavoro del ricercatore ha orari e ritmi diversi da quelli di tante altre professioni. «Nei nostri esperimenti utilizziamo campioni biologici che a volte richiedono procedure con tempi che non sono compatibili con l’orario di ufficio. Magari c’è bisogno di rimanere più a lungo o anche di passare la notte in laboratorio. Ci si organizza», dice Piergiuseppe. «Spesso non vogliamo interrompere quello che stiamo facendo per passione, perché non sai mai quando può arrivare il risultato che stai aspettando da mesi. Bisogna imparare a trovare un equilibrio tra il lavoro e la vita personale».
Errore
Il percorso della ricerca non è sempre lineare, dall’ipotesi al risultato passando per gli esperimenti. Al contrario, spesso è circolare, perché magari un esperimento non riesce come era previsto e allora deve essere nuovamente progettato e ripetuto: Oppure l’ipotesi si dimostra infondata e bisogna tornare al passaggio precedente, studiare per formularne una nuova. La nostra terza parola, “errore”, è parte della natura stessa della ricerca scientifica.
«A volte sbagliamo, a volte si verifica un inconveniente indipendente dalle nostre azioni, come il malfunzionamento di uno strumento, oppure un altro imprevisto», dice Martina. «Per questa ragione, quando progettiamo il nostro lavoro, prevediamo sempre un piano B. Dobbiamo essere in grado di trovare strade alternative per recuperare dopo una battuta d’arresto». D’altra parte, l’errore non è sempre necessariamente un evento negativo, un ostacolo. «Spesso un risultato diverso dal previsto è l’occasione per imparare qualcosa di nuovo, può guidare il ricercatore verso una nuova ipotesi», osserva Michela.
Collaborazione
Di fronte a un intoppo o quando tutto fila liscio, un ricercatore non è mai da solo. La nostra quarta parola, “collaborazione”, è un aspetto essenziale nel suo lavoro quotidiano. «A volte per ottenere il risultato a cui stiamo mirando dobbiamo portare a termine decine o centinaia di esperimenti», spiega Piergiuseppe. «Nessuno può farcela da solo. Infatti, quando viene annunciata una scoperta importante, il merito è sempre di un’équipe, mai di un singolo. Nessuno di noi è onnisciente, ognuno ha le sue specifiche competenze e dobbiamo lavorare come una squadra, soprattutto operando in un settore di ricerca multidisciplinare come il nostro».
E quando il lavoro va a buon fine e si arriva al risultato tanto agognato, festeggiare insieme è ancora più bello. «Usciamo a cena, prendiamo un aperitivo, condividiamo una torta in laboratorio, stappiamo lo spumante», dice Michela. «Ecco, mangiare è il nostro modo di festeggiare e troviamo continuamente occasioni per fare festa, per tenerci allegri».
Cura
Se fare parte di una squadra rende il lavoro più bello, fare parte di un Istituto che nel tempo ha cambiato la vita a tante persone aggiunge valore e significato all’impegno di ciascuno. «Siamo tutti mattoncini di un meccanismo più grande che ha prodotto terapie efficaci per malattie per le quali prima non c’era alcuna cura» dice Martina. Ed ecco la nostra quinta e ultima parola, “cura”, intesa sia come trattamento per risolvere una malattia, sia come presa in carico dei pazienti e delle loro famiglie.
«L’obiettivo finale di ogni nostro sforzo non è solo arrivare a un risultato, arrivare a una pubblicazione. Ci sono delle vite umane in ballo e questa è la motivazione più forte che ci possa animare», conclude Piergiuseppe.
Dal Fondazione Telethon Magazine 3/2025