Vincenzo Boni: Il sorriso di quel giorno era solo l’inizio

C’è una foto che ritrae un momento particolarmente felice nel mio percorso sportivo. Era il gennaio 2016, iniziava l’anno che avrebbe portato alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, un evento che da bambino sognavo soltanto, e all’inizio della mia carriera sportiva sembrava utopia.

In quella foto sorrido. Quel sorriso mi ritrae dopo aver realizzato il record Europeo sui 50 metri dorso, era a Busto Arsizio, ed era la prima gara della stagione. Ricordo che ero molto in ansia per quella gara, era l’anno olimpico e ci si giocava una convocazione. Una volta entrato in vasca poi tutte le paure svanirono e feci quello che più adoro fare, nuotai.

Finiti i 50 metri, guardai la piastra cronometrica e vidi segnato un tempo che valeva il nuovo record Europeo. Ero felicissimo, e questo mi permise di iniziare l’anno agonistico sereno, con meno apprensione rispetto a quello che un anno in cui si gioca la convocazione alle paralimpiadi richiedeva. Dopo quella gara presi maggiore consapevolezza dei miei mezzi, e quando la mente è serena, allora anche tutto il resto viaggia in tranquillità… Quella fu la prima gara dell’anno, ne seguirono altre, fino ad arrivare a maggio, quando a Funchal (Portogallo) si disputarono i campionati europei.

Stavo bene, nonostante venissi da un infortunio al braccio che poco prima non mi aveva permesso di allenarmi come si deve, ma era un campionato europeo, il mio primo europeo, così al diavolo dolori e pensieri, in quei giorni diedi il meglio di me portando a casa 5 medaglie (un oro, tre argenti e un bronzo ndr). Ma per me quel campionato europeo, nonostante lo spessore della competizione, era solo una tappa intermedia. La mia testa era proiettata a settembre, a Rio. A meno di 4 mesi al grande evento, la preparazione continuava e andava a finalizzarsi verso il grande evento. Al rientro da Funchal il commissario tecnico diramò la lista dei convocati: ero dentro. Convocato per la mia prima paralimpiade, che gioia!

Arrivò settembre e la delegazione paralimpica italiana prese il volo diretto a Rio, era l’inizio del sogno. La cerimonia d’apertura delle paralimpiadi fu allo stadio Maracanà, che spettacolo, quell’atmosfera diede una carica in più. Arrivò il grande giorno, il giorno della mia gara principale, lì sapevo di giocarmi una medaglia. Pochi giorni prima ebbi un risentimento muscolare che non mi fece allenare come avrei voluto, ma non c’era tempo per pensare e soffrire, in quei 50 metri mi giocavo una stagione, una passione, un sogno.

L’attesa pre-gara era snervante, piena di ansia, ma ecco il momento. Gli spalti erano gremiti e di fronte a tanta gente non avevo mai nuotato. Si entra in acqua. Il giudice di gara fa segno che ci si può mettere in posizione. Cala il silenzio. Parte il segnale e via! Non ricordo cosa pensai in quei 50 metri, tranne che a far andare le braccia il più veloce possibile. Allungo il braccio per toccare l’arrivo, mi giro di scatto per vedere il piazzamento: terzo! Ero sul podio, alla mia prima paralimpiade, contro atleti che avevano anni e anni di esperienza alle spalle, ero andato a podio.

Ad oggi quella è stata una delle gioie più indimenticabili della mia vita, oltre che la spinta per andare lontano il più possibile, alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che a un’atleta paralimpico riaccendono quella fiamma dentro che la disabilità ha fatto affievolire.

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