Sindrome di Phelan Mc Dermid: un lavoro a tempo pieno per mamma Stella

Uma ha 7 anni e affronta la sindrome di Phelan Mc Dermid, tra difficoltà quotidiane e tante incertezze. Ma al suo fianco c’è un alleato prezioso: mamma Stella, impegnata quasi h24 per garantirle una qualche autonomia futura. Parliamo di 3 sedute a settimana di fisioterapia riabilitativa e logopedia di circa 45 minuti ciascuna, ma quello che si vede è davvero solo la punta dell’iceberg. In realtà, quello di Stella è un lavoro no stop.

La fisioterapia
«Fino all’anno scorso faceva anche ippoterapia. Abbiamo dovuto smettere perché Uma si è dimostrata resistente al vaccino per il tetano e non abbiamo avuto l’autorizzazione a proseguire. Ora fa fisioterapia neuromotoria per ridurre i suoi deficit, migliorando l’ipotonia e la lassità dei legamenti. È un percorso che ci sta dando grandi risultati, votato ad una maggiore futura autonomia. Siamo riusciti a farla stare in piedi, ma la deambulazione è ancora faticosa. Riesce a muoversi per brevi tratti. Poi ci pensa mamma. Magari prendendola in braccio. Così, oltre alle energie mentali, se ne va anche tanta forza fisica. E arrivano tanti dolori, grandi e piccoli. Ma, ripeto, i risultati sono importanti e per questo continuiamo, nonostante si presentino tante difficoltà: si tratta di un’attività faticosa, stancante, Uma non l’accetta volentieri. Piange, fa i capricci e cerca di “scappare” verso la sala della logopedia».

La logopedia
«L’approccio al lavoro sulla comunicazione è, invece, molto diverso. In quel caso ride, si diverte. È conscia anche lei dei miglioramenti che sta avendo da quando abbiamo cominciato. La logopedia è incentrata sul metodo della comunicazione aumentativa. Si lavora sui simboli. Per esprimere concetti, semplici e complessi. Il suo quaderno, con tutte le tabelle, è la sua voce. Anche da questo punto di vista Uma ha fatto grandi progressi e ci siamo resi conto che potevamo e dovevamo fare di più. Per questo abbiamo aumentato il tempo dedicato alla logopedia, con una assistente privata che viene a casa 3 volte a settimana, per 3 ore ogni seduta. E ci siamo impegnati in prima persona: attraverso un software creo io stessa le tabelle con i simboli necessari in quel particolare momento, le stampo, le plastifico e le inserisco nel quaderno. È un processo in continua evoluzione perché il vocabolario, come in tutti i bambini, cresce e si modifica, le esigenze cambiano e c’è bisogno di nuovi supporti. Spesso mi ritrovo a stampare e plastificare tabelle in piena notte».

Le problematiche quotidiane e il lavoro a casa
«Per l’aspetto fisico noi genitori possiamo fare poco, non avendo le competenze di un fisioterapista. Al massimo cerchiamo di farle un po’ di linfodrenaggio per ridurre il gonfiore ai piedi, che, soprattutto nelle stagioni più calde, rischia di essere un problema serio. Al di là delle terapie, c’è quella che io chiamo la parte burocratica: le visite, i controlli, le richieste alla asl, gli ausili. Solo quelli richiedono un paio di mesi per l’iter completo. Spesso i tempi sono lunghi e dobbiamo trovare soluzioni alternative. Come quando, dopo mesi di attesa, durante i quali le scarpe erano diventate piccole, ci siamo dovuti mettere alla ricerca di calzature che potessero rispondere, almeno in parte, alle sue esigenze. Tutto questo porta via tempo. E delle volte il tempo non c’è. Perché le cose da fare sono tante e gli orari si sovrappongono. Mio marito si fa mettere i turni di notte, in modo da essere il più possibile presente; io mi sono dovuta licenziare per seguire Uma. Anche perché la sindrome di Phelan MCDermid porta con sé tanti problemi, tra cui una certa debolezza del sistema immunitario che, in ambienti come la scuola materna, comporta rischi importanti. L’anno scorso è riuscita ad andare a scuola 10, forse 15 giorni. In queste condizioni non è stato possibile mantenere il posto di lavoro».

La vita
«Già perché Uma ha diritto alla sua vita, ai suoi divertimenti. Ci sono le feste a scuola, ci sono le sue passioni, come la musica, e allora cerchiamo di portarla a qualche concerto dei suoi cantanti preferiti. In tutto ciò, anche il fratellino, Emanuele, richiede spazio e attenzione. Ha 5 anni e alla sua età è complicato comprendere quello che succede. Cerchiamo di dedicargli tutto il tempo che possiamo, per evitare problemi che, in bambini che hanno fratelli disabili, sono abbastanza frequenti. Difficoltà psicologiche che si possono esplicitare in disturbi del linguaggio. Non è un rischio che possiamo permetterci di correre. Dobbiamo trovare il tempo anche per questo. Anche quando di tempo non ce n’è».

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