Sonia, 19 anni, nata con la Sma, ha le idee chiare: «Non perdo tempo a piangermi addosso. Ho solo un piano A e me lo tengo stretto».

Sonia è una ragazza di 19 anni, iscritta a una facoltà che le piace, si diverte ad andare in giro con gli amici e sui social ama esprimersi con le immagini più che con le parole. Ha una compagna di vita da quando è nata, una compagna impegnativa che si chiama atrofia muscolare spinale (Sma) di tipo III, e che le rende la vita diversa. Sonia, come molti della sua generazione, ha avuto un grande dono dalla ricerca, la ricerca sulle malattie neuromuscolari che Telethon sostiene da sempre.

«Non ci si deve cullare nel pensiero che tanto, siccome stai sulla carrozzina, qualcuno ti aiuterà. Devi lottare per raggiungere ciò che desideri, devi lottare ogni giorno».

Sonia ha avuto accesso a un farmaco che sta fermando la progressione della malattia e questo le permette di costruire la sua vita come le piace: a energie da vendere e tutti si stupiscono della quantità di sogni, progetti e attività che mette in campo ogni giorno.

Con tutto quello che fai, hai ancora del tempo libero?

«Pochissimo! Studio, esco con gli amici, stiamo sempre in giro quando il tempo lo permette. E poi mi piace molto la musica. Mi piacciono le serie televisive, ma devo guardarle con mia mamma perché altrimenti non so stare davanti alla tv».

In che senso?

«Non so stare ferma, senza far nulla. Lei è l’unica che riesca a tenermi concentrata. Solo che, in cambio, a volte mi tocca vedere programmi storici e capita che mi addormenti».

Hai iniziato a studiare Economia Aziendale. Che cosa vuoi fare da grande?

«Mi sono appassionata ai progetti che porta avanti il Centro Nemo di Roma con i ragazzi come me. Durante la pandemia abbiamo seguito un corso di fotografia e oggi le nostre foto sono esposte al Policlinico Gemelli. Questi progetti sono un’opportunità di crescita e vorrei un giorno stare dalla parte di chi li organizza».

Ti vedi così tra vent’anni?

«Non mi piace fare programmi a lungo termine e crearmi aspettative. Un po’ di tempo fa ho capito che era meglio farmi sorprendere dalla vita».

Cos’è per te il Centro Nemo?

«È una seconda famiglia. È un posto dove si costruisce il futuro, dove si stringono relazioni. È come una rete di amici».

E Fondazione Telethon?

«Quando avevo 13 anni ed ero appena entrata nella sperimentazione, Telethon era un punto di riferimento, non c’era nient’altro. Oggi è una presenza costante nelle vite di chi soffre di malattie genetiche, e si sente parlare molto di più di queste malattie».

Come è cambiata la tua vita da allora?

«Continuo a seguire tante terapie che mi hanno consentito di fare tante cose. Ho avuto miglioramenti ma anche qualche peggioramento. È normale e non fa niente: so che senza terapie non starei così bene».

Cosa vuol dire stare bene?

«Vuol dire riuscire a fare tutto quello che voglio fare. A volte capita che ho le energie ma non ho la forza. Le energie fisiche e mentali devono essere bilanciate con le passioni e gli impegni. Non immaginerei mai una “me” che sta sempre chiusa in casa a studiare ma nemmeno una “me” che non fa il suo dovere».

Cosa diresti a una bambina che nasce oggi con la Sma?

«Che la fisioterapia e lo sport sono scoccianti e faticosi ma utilissimi, perché le consentiranno di fare molte più cose da grande. Ma soprattutto le direi che non importa se riesce a fare un movimento o no, e come fa quel movimento. La disabilità è un concetto che sta evolvendo molto rapidamente negli ultimi anni, anzi no, negli ultimi mesi. Ormai ci sono ausili e assistenza adeguati per fare tutto come gli altri».

Però non è facile accettare la carrozzina…

«È vero, ma le direi anche che non deve identificarsi con la carrozzina. Deve essere consapevole di se stessa e degli affetti che ha intorno, essere pronta ad interagire con il mondo. Non bisogna chiudersi e soprattutto non bisogna aspettare che qualcun altro ci porti ciò che desideriamo: non si deve cullare nel pensiero che tanto, siccome sta sulla carrozzina, qualcuno la aiuterà. Deve lottare per raggiungere ciò che desidera, deve lottare ogni giorno».

E tu come lotti?

«Facendo tante cose, a volte troppe. Magari sbaglio ma vado avanti. Lotto tutti i giorni per trovare soluzioni, magari non perfette, magari solo il male minore, ma è già abbastanza. Lotto con il pensiero, ripetendo a me stessa di non piangermi addosso. Perché non c’è un piano B. Ho solo un piano A e anche se non è il migliore del mondo, me lo tengo stretto».

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