Mamma Laura: Vi racconto la dieta salva-vita di Pietro

È una delle settemila malattie genetiche rare note. Una delle oltre 500 malattie metaboliche ereditarie. Una malattia che, grazie allo screening neonatale esteso però, potrebbe fare meno paura. Perché una diagnosi precoce può cambiarne il decorso. L’aciduria glutarica di tipo 1 (GA-1) è infatti gestibile grazie a terapie quotidiane da fare tutta la vita, ma solo iniziando prestissimo il trattamento è possibile evitare i danni neuromotori. A causarla è l’assenza di un enzima che impedisce all’organismo di metabolizzare correttamente alcuni componenti essenziali per il nostro organismo (gli amminoacidi lisina, idrossilisina e triptofano) delle proteine, animali e vegetali, che così finiscono con l’accumularsi nel cervello. Danneggiandolo. Per questo, è proprio il caso di dirlo, un semplice prelievo del sangue alla nascita, può cambiare la vita. Perché con una dieta speciale da seguire per tutta la vita si può prevenire l’accumulo tossico di queste sostanze e, di conseguenza, le gravi disabilità. Ci racconta la sua storia e il suo quotidiano Laura, mamma di Pietro.

Quando ha scoperto la malattia di suo figlio?

«Pietro è nato a Firenze, 18 anni fa, ad aprile. All’epoca non era ancora in vigore lo screening neonatale esteso (in Toscana lo è dal 2004): mirato cioè a diagnosticare tempestivamente 40 malattie metaboliche. E così la diagnosi è stata tardiva, tale da provocare danni cerebrali e motori abbastanza gravi. Aveva infatti 8 mesi quando il mio timore ha avuto una risposta. Giorno dopo giorno, percepivo che qualcosa non andava: Pietro aveva la testa grande, il suo sguardo sembrava assente, non riusciva facilmente ad afferrare gli oggetti, a stare seduto e, nonostante la fisioterapia, non migliorava. Nessun medico riusciva però a dirmi da cosa potesse dipendere tutto ciò. Fino a quando mio padre, neurologo, ha eseguito una serie di esami, tra cui lo screening alle urine. Un campanello di allarme ci ha portato alla causa: aciduria glutarica di tipo 1».

Lo screening neonatale avrebbe fatto la differenza perché avrebbe permesso a Pietro di seguire la dieta giusta per la sua patologia…

«Esatto, lo screening neonatale è un salvavita. Fondamentale per prevenire disabilità, anche molto gravi. Una goccia di sangue prelevata alla nascita dal tallone del neonato ti consente infatti di intraprendere un percorso diagnostico e terapeutico, utile e necessario per evitare un grave danno cerebrale e la disabilità che ne deriva, che richiede un’assistenza H24».

Cosa significa convivere con l’aciduria glutarica di tipo 1?

«La nostra vita è scandita dalla bilancia e dall’orologio perché dobbiamo attenerci rigorosamente al quantitativo proteico e calorico indicato come fabbisogno giornaliero dalle dietiste del reparto di malattie metaboliche. Di fatto è una malattia che si combatte seguendo scrupolosamente una dieta aproteica. L’alimentazione è il fulcro della terapia: tutto (pasta, biscotti, latte, pane, fette biscottate...) deve essere specifico per lui (alimenti a basso contenuto proteico ma altamente calorici) e deve essere acquistato in farmacia con prescrizione medica. E tutto deve essere pesato. Io devo calcolare scrupolosamente quante proteine ingerisce, a ogni pasto della giornata, perché non può assolutamente superare una certa soglia di introito proteico: per farlo utilizzo anche un programma al computer supervisionato dai medici e dalle dietiste. Infine ha bisogno di un integratore di carnitina per facilitare l’uscita dell’acido glutarico dai mitocondri diminuendo così i livelli di tossicità per l’organismo.

Una dieta molto impegnativa…

Impegnativa e rigorosa, da seguire tutta la vita. Per questo ha una peg nella pancia, una sorta di sondino per poterlo nutrire in caso di bisogno. È una lotta continua che porto avanti da 18 anni, ma sempre col sorriso. Pietro ha fatto progressi inaspettati: legge, disegna, canta, è sereno, allegro, ha cominciato anche a stare in piedi supportato da un tutore. Ma ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, e questo comporta fatica e spese enormi, per potergli garantire tutto quello di cui ha bisogno. E il sistema sanitario nazionale copre solo una parte di questi costi. Pietro la mattina va a scuola, e i pomeriggi sono scanditi dalla fisioterapia e da tante attività».

Quali sono le maggiori difficoltà quotidiane?

«Tutta la cura e l’assistenza di Pietro è nelle mie mani. E questo significa dover conciliare e adattare la mia vita alle sue esigenze. Se ci fossero maggiori aiuti, non dovrei, io come tante altre mamme, sopportare anche il rischio di essere emarginata per esempio, in campo lavorativo».

Cosa vuol dire ad altri genitori che convivono con una malattia rara?

«Bisogna continuare a combattere per i diritti dei propri figli e affinché la ricerca riceva fondi adeguati: il lavoro dei ricercatori può cambiare la vita delle persone che hanno una malattia genetica e delle loro famiglie. Supportiamoli».

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