La storia di Ivana nata con una malattia “quasi” invisibile

Tra i nuovi bandi Seed Grant assegnati in questi giorni anche quelli dedicati alla malattia di Anderson-Fabry finanziati da AIAF APS.

«Come un cieco, non sapevo cosa mi stessi perdendo, conoscevo i miei limiti, ma in realtà non sapevo»: così ha vissuto la vita Ivana, classe 1964. Solo poi le è stato tutto chiaro: non riuscire a fare sport, a camminare in montagna o a passeggiare per il centro di Mantova, non era solo perché era fuori allenamento. Fin da ragazza, infatti, si è sempre considerata un’antisportiva: «Mi proibivo le passeggiate in città la domenica pomeriggio, così come andare in bicicletta. Ma poi piano piano sono diventate difficili pure le scale».

Poi un giorno del 2018 al lavoro ha dovuto sollevare un peso, non ce l’ha fatta ed è finita in ospedale dove un cardiologo si è insospettito e ha voluto indagare oltre, cercare di spiegare perché Ivana continuava a star male nonostante le cure. Così si è sottoposta a un test genetico che ha fatto luce su tutta la sua vita, riscontrando la malattia di Anderson-Fabry, una malattia che comporta un progressivo deterioramento fisico, a partire da sistema nervoso, reni, cuore e altri organi, dovuto a un difetto di un enzima che comporta l’accumulo di alcune sostanze nelle cellule.

«Non abbiamo problemi fisici, sembra che non abbiamo nulla»

Ivana, nata con la malattia di Anderson-Fabry

Ivana descrive la sua malattia come qualcosa che l’ha accompagnata da sempre, anche senza che lei ne fosse consapevole. Anche perché «non abbiamo problemi fisici, se ci guardi da fuori sembra che non abbiamo nulla. Insomma: teniamo botta».

Oggi non esiste una cura, ma un insieme di terapie che servono a bloccare il progresso della malattia. I medici di Ivana hanno come obiettivo rallentare la malattia con terapie domiciliari che lei dovrà seguire a vita, due volte al mese: «Il mio calendario parte da lì - racconta - da quando so che devo fare la terapia e mi organizzo la vita intorno a questo appuntamento». Certo non è facile conciliare le terapie con la vita quotidiana, in particolare con il lavoro: «Nel corso degli anni ho cominciato a fare molte assenze proprio perché dovevo andare in ospedale a sottopormi alle terapie e questo ha finito per penalizzarmi. Il Covid in un certo senso ha migliorato un po’ le cose perché mi ha consentito di curarmi a casa, ma ogni tanto devo comunque andare in ospedale a Brescia».

Dopo la diagnosi, anche se tardiva, Ivana ha iniziato a impegnarsi per rendere più facile la vita di tutte le persone che hanno la sua stessa patologia. Primo passo, iscriversi all’associazione AIAF APS, l’Associazione Italiana Anderson-Fabry che si occupa della diffusione delle conoscenze sulla patologia, favorendo gli interscambi tra medici e ricercatori, per confrontarsi tra loro e che assiste le famiglie «per non farle restare al buio, soprattutto i bambini», spiega Ivana. Associazione che ha anche deciso di partecipare al progetto Seed Grant di Fondazione Telethon mettendo a disposizione fondi per organizzare uno specifico bando di ricerca sulla malattia di Anderson-Fabry individuando due progetti meritevoli. Perché la conoscenza è importante.

Studiando per saperne di più, infatti, Ivana ha saputo che nel suo caso l’Anderson-Fabry è stata trasmessa per via materna: «Mia madre ha manifestato la malattia, ma all’epoca non si sapeva. In un certo senso, penso che sia un bene per me che io non abbia avuto figli a cui trasmetterla a mia volta». Per questo Ivana insiste sull’importanza della ricerca e della diagnosi: «Sarebbe fondamentale per i bambini, per avere una vita più facile rispetto a quella che ho avuto io. E anche per aiutare le mamme ad andare incontro a questa malattia, alle terapie, al dover spiegare ai propri figli come è stata trasmessa». Finanziare la ricerca attraverso il Seed Grant Telethon «è una cosa bellissima. Più ci penso - conclude - e più sono convinta che la scienza riuscirà a cambiare le sorti di questa eredità».

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