Questo ragazzo venezuelano è tra le prime persone al mondo a essere stato curato con la terapia genica messa a punto dai ricercatori Telethon per la sua rara malattia genetica: oggi è cresciuto e frequenta l’università.

Dopo una lunga attesa, il 17 aprile 2001, Virginia e Rafael, due ingegneri informatici, festeggiano la nascita del loro piccolo Rafael Enrique: un figlio molto desiderato e a lungo atteso.

Poco dopo la nascita, però, inizia il dramma di questa famiglia venezuelana: già all’età di un mese e mezzo il loro “piccolo principe” comincia ad ammalarsi di gravi infezioni, ricorrenti e difficili da trattare tanto da rendere necessario il ricovero in ospedale (polmoniti, meningiti, gastroenteriti). I primi esami del sangue evidenziano che il bimbo non ha né le cellule né gli anticorpi che dovrebbero difenderlo dalle infezioni.

Una diagnosi inattesa

I medici di Caracas decidono di mandare Rafael Enrique negli Stati Uniti. Alla Duke University di Durham, arriva la diagnosi: si tratta di Ada-Scid, una rara immunodeficienza di origine genetica. Rafael ha solo 4 mesi e già un futuro difficile davanti a sé.

I medici americani propongono alla famiglia un trapianto di midollo osseo: un intervento pesante, ma potenzialmente risolutivo. Alla vigilia del volo per New York, programmato per il 12 settembre 2001, il mondo è sconvolto dall’attentato alle Torri Gemelle e il viaggio viene rimandato di una settimana.

Una volta che la famiglia è finalmente arrivata alla Duke, i medici eseguono il trapianto utilizzando le cellule del papà, dal momento che il piccolo Rafael è figlio unico e non ha altri potenziali donatori. I risultati, però, non sono quelli attesi. Dopo quattro mesi, i medici comunicano ai genitori che le cellule donate non hanno attecchito e che quindi il trapianto non ha funzionato. I genitori sono disperati: quel figlio che avevano tanto atteso rischia di morire senza che loro possano fare nulla.

Una speranza dall’Italia

I medici allora prospettano ai genitori due opzioni. La prima è la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nell’infusione periodica dell’enzima mancante: non solo non è una cura e va fatta per tutta la vita, ma è molto costosa e non è detto che il sistema sanitario venezuelano copra le spese.

L’altra possibilità è un trattamento sperimentale in Italia, la terapia genica: una tecnica che consente di correggere in laboratorio le cellule staminali del sangue prelevate dal paziente. Tramite un vettore derivato da un virus si inserisce una versione funzionante dl gene responsabile della malattia. È una tecnica promettente ma nuova, finora è stata provata soltanto su altri due bambini.

Guarda la video testimonianza di Rafael

I medici americani si offrono di favorire il contatto con il team italiano, diretto dalla professoressa Maria Grazia Roncarolo. Di recente, infatti, hanno sentito parlare degli ottimi risultati ottenuti su una bambina palestinese, anche lei affetta da Ada-Scid, che grazie a questa terapia ha ripreso una vita normale.

«Il giorno dell’infusione non abbiamo mai avuto la sensazione che nostro figlio fosse in pericolo, sentivamo che era la cosa giusta per lui».

I genitori di Rafael

Sembra un paradosso, non capita spesso che dall’America si venga mandati in Italia a curarsi! La famiglia si convince e dopo 4 mesi è a Milano. «Decidemmo di provare. Non eravamo mai stati in Europa, non conoscevamo l’Italia, non sapevamo molto della terapia. Ma avevamo fiducia perché ci fu, da subito, una grandissima attenzione nei nostri confronti, non solo dal punto di vista medico ma anche da quello umano: eravamo soli, in un Paese straniero, e ci fecero sentire come se, in quel gruppo di persone, medici, ricercatori, infermieri, avessimo trovato una famiglia. Abbiamo trovato una ambiente molto più accogliente che negli Stati Uniti, familiare, caloroso. Erano tutti molto attenti affinché tutto funzionasse, non solo per Rafael, ma anche per tutta la famiglia. È stato speciale. Nonostante non sapessimo nulla, i medici ci hanno spiegato perfettamente in cosa avrebbe consistito la terapia. Il giorno dell’infusione non abbiamo mai avuto la sensazione che nostro figlio fosse in pericolo, sentivamo che era la cosa giusta per lui. Non siamo mai stati preoccupati, anche se era sperimentale».

Il 4 maggio 2002 Rafael riceve la terapia genica. «Eravamo abituati a indossare tutte le protezioni indispensabili per non mettere in pericolo la vita del bambino. Ma, a un certo punto, un giorno, Rafael è uscito dalla stanza sterile e noi ci siamo tolti le mascherine. Di quel momento, ricordo il primo gesto che fece: toccare il volto della sua mamma».

Una nuova vita per Rafael

Dopo cinque mesi in Italia, la famiglia può tornare a casa. Le cellule corrette con il gene sano hanno preso il sopravvento su quelle malate. Presto il sistema immunitario di Rafael riprende a funzionare e il bambino inizia a crescere come i suoi coetanei.

Non ha bisogno di prendere medicine particolari, va a scuola e fa una vita normale. Si ammala anche meno degli altri ragazzi! Partecipa a ben tre edizioni della maratona Telethon: nel 2002, pochi mesi dopo la terapia, l’anno successivo e nel 2008, quando ha anche occasione di incontrare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Nel 2016, il papà di Rafael ha commentato così la notizia dell’approvazione in Europa della terapia genica come vero e proprio farmaco (Strimvelis), pronto per curare altri pazienti. «È una grande notizia perché qui in Italia, grazie a questo trattamento e grazie a Fondazione Telethon, nostro figlio è nato un’altra volta. A 14 anni di distanza, possiamo dire che Rafael è guarito. Prima non sapevamo quanto sarebbe stato con noi: oggi quel ricordo duro è diventato dolce. Ricordiamo tutto lo staff dell’SR-Tiget come a una famigli. È una notizia troppo grande che questa terapia sia disponibile anche per altri bambini, siamo stati fortunati ad aver contribuito a questa ricerca, abbiamo fatto il nostro lavoro insieme ai medici».

Oggi Rafael frequenta l’università, dove studia ingegneria elettronica. Gli piace l’inglese, ama molto giocare a calcio. Ha un bel ricordo dei medici italiani il professor Aiuti e la professoressa Roncarolo in primis – ma anche degli sportivi che ha potuto conoscere partecipando alla maratona Telethon, come Marco Melandri e Gigi Buffon. «La prima volta che sono venuto in Italia da piccolo mi hanno fatto stare bene, quando torno non significa fare dei controlli, ma incontrare un’altra vita, diversa da quella in Venezuela: posso mangiare la pizza, il buonissimo gelato italiano. Grazie a Telethon e a tutte le persone che hanno aiutato i bambini come me, grazie ai medici per avermi dato un’altra opportunità di vita, per poter fare una vita normale come tutti gli altri. Per questo è importante che tutti gli italiani continuino a sostenere Telethon. Grazie Telethon!»

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