Una bimba con la sindrome di Williams cambia la vita dei genitori, entrambi scienziati, che la crescono guardando alla ricerca.

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Ci danno la vita, e con lei un nome. Ce lo scrivono appena nasciamo, su un braccialetto di plastica che ci chiudono intorno al piccolo polso. Nessuno sa ancora quanto ci definirà nel mondo, se ci corrisponderà davvero. Ma da lì in poi sarà nostro, lo porteremo sempre, ci chiameranno con quello senza sapere se è o meno una scommessa vinta.

Elettra da subito è stata nel suo significato: «Scintillante, che brilla». Erminia e Luciano lo sentono da che la vedono: ci hanno proprio preso, è perfetto per lei. Pensano questo l’11 gennaio 2014, il giorno più bello da che si sono conosciuti, innamorati e sposati tra Catanzaro a Pavia, dove si sono stabiliti e lavorano da fisici alla Fondazione Cnao, un importante istituto di ricerca dove si studia la cura e distruzione dei tumori grazie alle particelle nucleari accelerate.

Sono felici perché la volevano ed è arrivata, e ora per la prima volta tornano a casa in tre. La culla profuma di nuovo e futuro, e Elettra continua a essere fedele al suo nome: «Scintillante, che brilla». Però è anche tanto minuta. Soprattutto, non assomiglia a nessuno. «Mi girava e rigirava in testa questo pensiero», racconta la mamma. «Poi alla terza settimana, quando andiamo a un controllo in neonatologia, i medici dicono: “C’è un piccolo soffio al cuore, ma sembra nulla di grave”. E invece: l’aorta è occlusa, la opereranno presto».

Una volta dimessa, non si riprende. Dorme tanto, troppo. Fino a venti ore al giorno. Mangia a fatica, e il poco che riesce poi lo vomita. «Lì, anche quei dottori che mi avevano spesso liquidata come mamma ansiosa iniziano a preoccuparsi». Tra loro uno è più sensibile degli altri, forse perché donna, forse perché appena rientrata in reparto dalla maternità: «Signora, se vuole andiamo giù, facciamo un esame più approfondito».

Non erano solo presentimenti: qualcosa di Elettra che non si riprende. Che, anzi, con il passare del tempo mostra altri deficit, di natura cognitiva: è difficile incrociare il suo sguardo, non ha nessuna manifestazione di affetto o dispiacere, in presenza o assenza dei genitori, come subisse passivamente tutto quel che le accade intorno.

«Un ulteriore test soffia sul fuoco: Elettra soffre anche di un disturbo dello spettro autistico.
Oggi, a 5 anni, ancora non parla. Ha una logopedista privata, le stiamo insegnando la Comunicazione Aumentativa, perché possa fare dei simboli il suo linguaggio, i suoi strumenti alternativi per dire se sta bene o male, se ha freddo o caldo, cosa desidera e cosa no. Quando è stanca e scocciata, ma comunque si presta agli esercizi, ho la certezza che a nessun bimbo sano viene richiesta, oltre che data, un’attenzione così alta. Purtroppo deve imparare presto a cavarsela al meglio delle sue possibilità: ora si veste e sveste da sola, apparecchia la tavola, va in terapia ogni mattina, all’asilo, e quando giochiamo ai Lego, la guidiamo fisicamente con le mani perché incastri i pezzi, e costruisca».

La sindrome di Williams ha messo a dura prova Erminia e Luciano.

«Accettarla è stato un massacro, ha aperto una crisi nera».

«Ma poi, per fortuna, abbiamo capito che solo restando uniti avremmo potuto remare nella stessa direzione, prendere il buono, nel cattivo: per esempio sarebbe stato peggio se fosse stata una malattia neurodegenerativa. Se la protesi al cuore che non ci fa star tranquilli non funzionasse come deve. Se Elettra non ballasse, non sorridesse, non ci abbracciasse e accarezzasse come adesso fa anche con Ettore, il fratellino che le fa compagnia da pochi mesi. Se la ricerca non fosse l’albero in crescita che, da scienziati, crediamo sia, le cui radici sono la fisica, la chimica, la bioingegneria, la medicina. Ma anche la fiducia, la pazienza, i soldi. E questo scoraggiarsi mai».

Da Telethon Notizie, aprile 2019

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