All’apparenza, Cristiana e Gioia hanno vite simili: sono ragazze nate negli anni Ottanta, lavorano nelle arti - una nel cinema, l’altra nella musica, entrambe a teatro -, a casa le aspetta un uomo che su tutti hanno desiderato, e che ogni mattina amano un po’ di più del giorno precedente. Poi viaggiano, appena possono. Vanno in palestra.

Roma, ottobre 2016 Cristiana Capotondi e Gioia Di Biagio Photo ©Ilaria Di Biagio Location studio Lovino Per Telethon

Qualcuno spesso si gira, quando le nota camminare per strada. Perché Cristiana Capotondi è un’attrice, una delle migliori che abbiamo in Italia, e fa i conti con la notorietà. Perché Gioia di Biagio ha delle cicatrici, a volte dei lividi sul corpo, visibili, e paga il prezzo di una patologia. Qualcosa alla nascita le ha rese diverse per sempre. Una malattia rara, la sindrome di Ehlers Danlos, per cui Gioia è fragile da rompersi le ossa con nulla, di lussarsele con meno ancora: una volta le è successo mentre dormiva.

Avrebbero potuto non incontrarsi mai. E invece quando Cristiana, dopo avere diretto da regista Sulla poltrona del Papa e Milano 2015, ha deciso di firmare un cortometraggio per la Fondazione Telethon, chi la conosce bene non ha avuto dubbi e le ha detto: «È Gioia la tua donna, è tua la sua storia». E avevano ragione. Cristiana e Gioia si sono incontrate. Piaciute. E insieme creato un’opera filmica, Gioia in movimento: «Perché il movimento è quanto più rischioso per lei – spiega la Capotondi - ma per contrasto quel che più l’accende: suona uno strumento pesante come l’organetto, nonostante chiunque l’avesse scoraggiata, perché il contatto con le cose può esserle fatale; si esibisce sui palchi, nonostante la paura di ferirsi e lacerarsi i tessuti lì sia questione di un soffio, perché quello e non altro la emoziona». Il corto racconta questo: «Un'esistenza che poteva avere del tragico, resa invece speciale. Molto del talento di Gioia passerà da foto che le ha scattato la sorella Ilaria, nel corso del tempo. Ce n’è una in cui il marito le fa un massaggio alla schiena, e la pelle le si allunga come un elastico. Altre in cui, da fonte d’ispirazione involontaria, senza retorica esprime in maniera volontaria questo suo mondo in cui da sopravvissuta lotta per un quotidiano più semplice e meno invalidante. Tutto alla luce del sole, perché Gioia non ha voglia di nascondersi, né di farti arrivare un dolore. Gioia è proprio il nome che i genitori le hanno dato, non vuole tradirlo, felice di essere al mondo seppur nella difficoltà della conquista, nella fatica immonda che fa per la debolezza di ogni suo passo». Cristiana e Gioia non ci sarebbero state se non ci fosse stata una visita fatta da Cristiana all’SR- Tiget, l'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica a Milano: «Dovrebbero andarci tutti, a vedere che cosa succede lì. Soprattutto chi, come me, nei suoi sei gradi di separazione non trova fortunatamente coinvolgimenti personali alla causa. Soprattutto chi ancora crede che Telethon sia solo una maratona televisiva. Ci sono bambini che vengono da ogni parte del planisfero e le nostre ricerche diventano protocolli risolutivi globali. Tocchi che cos’è la Fondazione, che cosa l'ha ispirata e la ispira ogni ora, insieme a un orgoglio crescerti dentro per avere in casa una frontiera scientifica, medica, umana così potente, che si finanzia con le donazioni dei cittadini. Il senso del bene comune si risveglia, e scopri che l’Hiv, quello stesso virus cattivo che ha decimato tante giovinezze ha un vettore buono, utile, che può fornire ad alcuni piccoli pazienti aggiornamenti ai loro geni portatori d’errore, correggerne il difetto. Non è una lezione stupefacente?».

Anche lei ne ha oggi una: «Mai fermarsi in superficie: Gioia non sembra subito avere una deficienza rispetto a una normodotata, devi fare uno sforzo in più: è avvicinandosi che la patologia svela i suoi segni più profondi». Cristiana ultimamente ha dato voce, volto e parola per la fiction Rai Io ci sono anche a 

Lucia Annibali, l’avvocatessa sfigurata dall’acido dall'ex fidanzato nel 2013: «Con loro due, con Gioia e Lucia, ho compreso che le cicatrici ti ricordano da dove vieni, ma anche dove vuoi andare; che cosa è accaduto e che cosa non vuoi accada più. Le loro storie ci aiutano molto ad amarci. Ti tolgono dal problema della fisicità della bellezza femminile che governa la donna da sempre, la martirizza, la tortura. Ti trasmettano l’accettazione della nostra estetica, qualunque sia. E la sacralità della volontà: guardo Gioia, siamo entrambe sulla linea dei 100 metri, solo che lei è partita già da un chilometro, per arrivare qui. Con una determinazione e un desiderio inauditi, in quel suo piccolo corpo che in verità è immenso, e danza, magico come un prodigio».

di Lavinia Farnese (tratto dal Telethon Notizie 2016)

Credits photo: © Ilaria Di Biagio per Fondazione Telethon

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