#AndràTuttoBene: «La ricerca è vita e molte vite ricominciano dalla ricerca».

Scrivono per noi Maurizio ed Elena, infermieri e genitori di una bimba nata con la sma 2, che raccontano come si dividono tra l’emergenza Covid-19 e la famiglia.

Decidere di intraprendere la carriera infermieristica significa impegnarsi nello svolgimento di una nobile professione tuttavia, l'impegno ed il sacrificio personale richiesti sono notevoli. Tralasciando i numerosi stereotipi negativi riguardanti la figura dell'infermiere duri a morire e ancor oggi - basso riconoscimento  sociale di cui gode la professione nonostante gli impegnativi anni di studio, formazione e tirocinio - nella realtà la difficoltà maggiore è rappresentata dall'imparare a essere infermiere e non semplicemente a fare l'infermiere.

Essere rispetto a fare è ben altra cosa, significa comprendere di aver scelto una carriera importante per la comunità e pilastro insostituibile del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Significa svolgere il proprio lavoro con passione, impegno, dedizione, competenza ed empatia. Significa arrivare a mettere talvolta in secondo piano la propria vita privata e gli affetti per dedicarsi completamente al proprio dovere.

Significa imparare a lavorare in équipe, a formare una squadra, un team. Significa sopportare qualche volta atteggiamenti poco “pazienti” dei nostri malati, ma poi un semplice sorriso ti gratifica dopo interminabili turni di duro lavoro.

Io e mia moglie Elena abbiamo scelto di essere infermieri. La nostra vita ha marciato da allora parallelamente alla carriera ed è stata contraddistinta da alti e bassi, gioie e dolori come ogni persona. La nostra felicità toccò l'apice con l'arrivo nella nostra famiglia di Ilaria, la secondogenita che andava ad affiancarsi alla sorella maggiore Arianna. Presto, purtroppo, la nostra esistenza cambiò drammaticamente quando scoprimmo che la nostra piccola era nata con una rara patologia genetica neuromuscolare: l'atrofia muscolare spinale di tipo 2 (sma 2).

Il mondo ci crollò letteralmente addosso e oltre al lavoro dovemmo imparare a misurarci quotidianamente con la malattia anche tra le mura di casa nostra. Non fu facile ma abbiamo lottato fin da subito per aiutare Ilaria a vivere nel miglior modo possibile. Mia moglie Elena riuscì a ottenere un part-time e così cominciammo ad organizzarci al meglio per gestire la nostra nuova famiglia, le nostre conoscenze ci hanno permesso di gestire sin da subito nel migliore dei modi la nostra quotidianità.

Nonostante il nostro lavoro non nascondiamo le nostre paure, perché stare dall'altra parte non è la stessa cosa. Abbiamo imparato che la sofferenza va sempre rispettata, ci siamo avvicinati un po’ di più alle richieste non solo dei nostri malati ma anche dei loro parenti perché oggi capiamo meglio le loro difficoltà.

Fondazione Telethon, che abbiamo conosciuto ed apprezzato, e la ricerca medico scientifica hanno combattuto al nostro fianco e nel 2017 è stato approvato in Italia l'uso clinico di un farmaco, il primo trattamento al mondo per fermare la progressione della atrofia muscolare spinale. Messo a punto dopo anni di ricerche questo farmaco ha cambiato la storia naturale della malattia e ci ha permesso di poter guardare al futuro con una maggiore serenità. Tanto resta ancora da fare per sconfiggere definitivamente le malattie genetiche e solo sostenendo la ricerca si potrà puntare sull'unico cavallo vincente per tagliare un giorno il sognato traguardo. La ricerca è vita e molte vite ricominciano dalla ricerca.

Quest'anno il mondo intero sta facendo drammaticamente i conti con una situazione senza precedenti una pandemia globale apparentemente inarrestabile. Al lavoro tutto è cambiato, ma l'unione fra noi colleghi è la forza che ci permette di andare avanti. Inizialmente eravamo molto spaventati: noi, genitori di una bambina con una malattia genetica, dovevamo essere ancor più attenti. Abbiamo deciso di continuare comunque il nostro lavoro con molta precauzione, attenzione.

Quello che vediamo è tanta paura e tanta solitudine. Pazienti isolati anche dai loro affetti più cari. Noi infermieri, in questa situazione, siamo le persone che possono dare attenzioni e non farli sentire soli. Perché la solitudine è il peggior dei mali e non aiuta nel processo di guarigione.

Chiediamo a tutti voi col cuore in mano: aiutateci, aiutatevi, rispettando le regole, rispettando le distanze, per ritrovarci ancor più vicini.

I ricercatori sono già al lavoro per trovare una terapia, ma nel frattempo lo sforzo maggiore per contenere la minaccia ricade certamente sul personale sanitario. Come infermieri ci troviamo quotidianamente in prima linea ed oggi molti ci definiscono eroi. Tuttavia, noi ci comportiamo sempre allo stesso modo: non pensiamo minimamente a tirarci indietro e faremo fino in fondo la nostra parte perché noi non facciamo gli infermieri, noi siamo infermieri e siamo orgogliosi di esserlo. #RESTATEACASA

Pazienti

Il mondo di Sofia

Il sorriso di Sofia è quello di tutti i bambini che dalla ricerca possono ricevere il dono più grande: un futuro.

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