Aised: laboratori per conoscersi attraverso le emozioni

L’Associazione Italiana per la sindrome di Ehlers-Danlos ha organizzato incontri per arrivare a una “autoconoscenza” e dare nuovi strumenti per chi ogni giorno convive con una malattia genetica.

Alessandra e Susi

C’è un viaggio che è il più bello che possiamo intraprendere, e che forse è uno dei pochi che possiamo permetterci in tempi di pandemia: quello all’interno di noi stessi. Entrare in contatto con le proprie emozioni, comprenderne il valore, apprezzare i sentimenti, di qualsivoglia natura siano, riconoscere la propria personalità e il modo con cui entra in relazione con il mondo esterno rappresentano una tappa di crescita cruciale per ognuno di noi.

Un itinerario in cui spesso il supporto a una guida esperta può essere molto utile. È il principio su cui si sono basati i laboratori di «autoconoscenza» realizzati dall’Aised, l’Associazione Italiana per la sindrome di Ehlers-Danlos, dal titolo “Conosciamoci attraverso le emozioni”,e pensati, come recita efficacemente il sottotitolo, per «…scoprire, scoprirsi, sorprendersi» anche attraverso il gioco.

«La prima serie dei laboratori, che si è svolta tra la primavera e l’estate 2019, ha potuto beneficiare della presenza fisica dei partecipanti che dei conduttori, due psicologi, cosa che la pandemia ha impedito in occasione della seconda edizione, che si è tenuta nel 2020» spiega Laura Traversone, che si occupa del coordinamento dell’Associazione e anche di questo progetto.

La prima edizione si è articolata secondo un percorso che ha previsto la realizzazione di sessioni espressivo/creative attraverso l’uso della scrittura «così da dare ordine ai pensieri, portare le emozioni in superficie, aiutare l’elaborazione mentale», la costruzione di un mandala personale «per riappropriarsi del proprio vissuto modificare la propria immagine e scoprire sensazioni e sentimenti non immediatamente a disposizione della coscienza» e infine la creazione di un personalissimo puzzle che ha preso vita in base alle sensazione che ogni partecipante ha percepito guardando le tessere a disposizione.

«Da questo primo percorso - racconta Traversone - sono emerse riflessioni importanti in merito, ad esempio, alla difficoltà che i pazienti incontrano nella relazione con i medici o all’importanza della comunicazione empatica, la gestione delle emozioni e, ancora, la comprensione del dolore tra aspetti fisici e psicologici». È scaturita così l’esigenza di dare seguito a questi momenti di condivisione ed è nata l’idea di riproporre i laboratori, in forma di webinar, basandoli sulla tecnica della narrazione «per conoscersi».

«Ero scettica all’inizio, pensavo si tornasse a parlare solo della nostra patologia - racconta Alessandra, milanese, 47 anni, mamma di Luca che ha 10 anni, anche lui nato con la sindrome di Ehlers-Danlos - invece i laboratori si sono rivelati un cammino entusiasmante all’interno di noi, nelle emozioni e nel modo con cui entriamo in relazione con gli altri. Avevo paura che il foglio sarebbe rimasto bianco e di non riuscire ad esprimere nulla, invece la scrittura è partita di getto, fin quasi ad avere difficoltà a fermarmi».

Alessandra dopo i laboratori ha ripreso l’abitudine ad annotare sensazioni e vicissitudini così come faceva in adolescenza e ha incrementato la sua relazione con quelle che sono diventate delle «amiche speciali», come Giovanna, Rita, Roberta e Valentina. «Alla fine del corso - ricorda Alessandra - abbiamo chiesto di proseguire questo cammino, integrando il programma con argomenti apparentemente più leggeri ma che comunque investono la nostra emotività, come ad esempio la cura dell’aspetto fisico». 

A Susi, 54 anni, anche lei milanese, la diagnosi è arrivata molto tardi nel corso della vita. «Da bambina mi percepivano quasi fossi una sorta di fenomeno, la mobilità eccessiva delle mie articolazioni mi consentiva di fare cose che agli altri apparivano sorprendenti». Con il passare del tempo la situazione è divenuta più complessa, la fatica di affrontare la giornata si è fatta sempre più evidente, ma lei non si è mai arrestata di fronte alle difficoltà. Quando le è stato proposto di partecipare ai laboratori ha provato una certa iniziale resistenza. «Il fatto che la mia patologia sia emersa in forma più lieve e così tardi mi faceva avvertire una certa distanza dal resto del gruppo. In realtà, la conoscenza e la condivisione della quotidianità vissuta da chi incontra le tue stesse difficoltà, le soluzioni che si possono trovare per superare gli ostacoli, mi ha fatto capire quanto sia importante non isolarsi, facendo emergere le proprie emozioni, anche quando gestirle diventa complesso». I laboratori avranno un seguito, come auspicato dalla totalità dei partecipanti, in forma virtuale, finché la pandemia non concederà una tregua. 

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