A scuola con la sindrome Kabuki? Secondo mamma Sonia si può

Le giornate delle mamme possono sembrare tutte uguali: la mattina i figli vanno a scuola, nel pomeriggio compiti, attività sportive o una passeggiata al parco. Poi arriva la sera, con il meritato riposo per tutti.
Ma le giornate di una mamma “rara”, una mamma che ha un figlio con una malattia genetica rara, sono molto diverse perché, anche se un bambino “raro” vorrebbe fare tutto quello che fanno gli altri bambini, le difficoltà che ha davanti, di qualsiasi tipo esse siano, devono essere annullate e superate spesso proprio grazie all’aiuto della sua mamma.
Pensiamo alla scuola, per esempio. Pensiamo a una mamma come Sonia che ha un figlio, Salvatore, 10 anni, nato con la sindrome Kabuki, che lo rende più piccolino dei suoi compagni e più lento a comprendere certe lezioni per via di un ritardo cognitivo, di una difficoltà nel parlare.
Cosa significa essere madre di un bambino percepito come «diverso» in una classe?

«Significa sapere – ci racconta - che potrà partecipare ad alcune attività solo se ha raggiunto determinati livelli di autonomia, che dovrà affrontare ostacoli maggiori per raggiungerli. E avere tante cose da tenere sotto controllo. Impegnarsi affinché tutto quello che stai facendo per lui lo avvicini il più possibile ad avere una vita normale. Significa anche lottare per l’inclusione: esperienze da poter condividere. Diversità da riconoscere e tenere a mente. Coinvolgimento. Qualunque queste siano. Significa temere l’esclusione: lasciarlo solo, incompreso, allontanarlo per una sola paura, che è quella di non sapere a cosa vai incontro. Che è quella del diverso. Vale per disabili, extracomunitari, timidi, problematici. È sciocca. Mortifera».

La vita scolastica è fatta di tanti momenti belli e brutti per qualsiasi bambino. Per un bimbo come Salvatore tutto è vissuto in modo molto intenso. «L’episodio più bello? La festa di compleanno, quando vengono proprio tutti e quando quelli che rischiano di non potere venire puntano i piedi con i genitori per esserci a tutti i costi. Oppure quando Salvatore torna a casa con i disegni in cui l’hanno aiutato gli amichetti. E poi c’è l’affetto dei compagni, una bambina gli ha dedicato un tema: è lui quello che preferisce avere accanto nei giochi perché è sempre allegro. Un’altra gli ha regalato un libro scritto nei simboli della comunicazione aumentativa alternativa, che è quella che usa Salvo. Non si trovano in libreria. Ha chiesto alla mamma di cercarlo su Internet». Il giusto materiale didattico, per esempio, può fare la differenza: «Salvo – ci racconta – utilizza in classe un materiale didattico tradotto in simboli che lui usa per comprendere ciò che lo circonda. È molto importante e inizio a prepararlo io d’estate, durante le vacanze, per alleggerire gli insegnanti».

Nella vita scolastica l’esperienza dello stare insieme è fondamentale, e la diversità può essere un ostacolo ma, ne è convinta Sonia, «sta sempre ai genitori, agli insegnanti. Salvatore per esempio a causa di una malformazione al palato scoperta tardi ha un ritardo nel linguaggio, è come se avesse iniziato a parlare a 6 anni. Ma se l’avessimo tenuto isolato durante la ricreazione, non sarebbe mai migliorato. Se per l’ipotonia nelle mani avessimo optato per il farlo assistere durante il pranzo in mensa, non sarebbe stato sollecitato a sforzarsi di migliorare. Poi ci sono gli insegnanti. Qualsiasi mamma chiede al corpo insegnante un supporto affinché i propri figli possano un domani vivere la realtà quotidiana nel mondo nel modo più dignitoso possibile. Io vorrei che Salvatore imparasse a fare i conti per potere maneggiare dei soldi, a scrivere per essere in grado di mettere una firma, a leggere perché se si perde può ritrovare dov’è grazie al nome della via. Mi sono sentita dire che sono una madre “esigente”. Ma quelle che possono essere cose semplici per un bambino in difficoltà possono essere traguardi irraggiungibili».

E poi ci sono i limiti strutturali che inibiscono l’inclusione a scuola. Spesso mancano le attrezzature più banali: la rampa per disabili, l’ascensore a servizio nei piani, il banco ad hoc… Insomma una mamma rara affronta la vita giorno dopo giorno con il cuore vicino ai tanti ricercatori, come quelli di Fondazione Telethon, che lavorano per permettere ai bambini rari come Salvo di avere una vita migliore.

Fondazione Telethon dedica la campagna Io per Lei a tutte le mamme rare come Stella che dedicano le loro giornate al benessere dei propri figli, che affrontano una malattia genetica rara. Rispondi #ioperlei al loro appello, scegli i Cuori di biscotto Telethon:

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